Dietro il braccio destro di Enzo «Sangueblu», interpretato da Loris De Luna nella serie tv targata Cattleya, c’è la storia di Mirko Romano, il giovane che da studente universitario della Napoli bene si è trasformato in un killer del clan Amato-Pagano.
Prosegue la serie di articoli di Stylo24 alla scoperta dei veri volti che si celano dietro i personaggi di ‘Gomorra – La Serie’, che il 19 novembre si appresta a raggiungere la quinta e ultima stagione. Dopo aver raccontato le vicende di Gennaro e Pietro Savastano, “Sangueblu”, Ciro Di Marzio e Salvatore Conte, è la volta di Valerio “o Vocabolario”. Il personaggio interpretato da Loris De Luna, ruolo fondamentale nello sviluppo della serie nel corso della terza e della quarta stagione.
Valerio Misano, detto ’o Vucabulà (“Vocabolario), è un ragazzo benestante, residente a Posillipo, nella cosiddetta Napoli bene, entrerà in contatto con Enzo e verrà risucchiato dal mondo della malavita organizzata, dalla quale è fortemente attratto. La sua parabola lo porterà a diventare, da semplice consumatore di droga, quasi per noia e gioco, a braccio destro di Enzo “Sangue blu”. Sarà lui a rivelare al giovane ras di Forcella il piano di Genny negli eventi che concluderanno la terza stagione.
Il suo personaggio si ispira alla figura di Mirko Romano. Il giovane entrato nel clan Amato-Pagano nel pieno della seconda faida di Scampia, era divenuto il killer prediletto dai capi. Non è chiaro come un giovane di 22 anni, residente in via Giacinto Gigante, all’Arenella, con nessun precedente con la giustizia, studente all’Università, finisca nel giro della camorra. Sta di fatto che un incontro “sbagliato” lo porta a perdersi nel vortice del clan che sta combattendo una delle più cruente guerre della criminalità organizzata per il predominio a Secondigliano. Da quel momento viene indicato come “l’Italiano” perché usava esprimersi sempre in lingua, mai in dialetto ed in modo corretto, circostanza che lo distingueva dagli altri affiliati. Caratteristiche che, unitamente alla calma glaciale, alla compostezza ed all’assenza di tracotanza verso i più giovani affiliati, ne facevano un personaggio dalla storia singolare.

Nel giro di pochi mesi riesce a conquistare la stima e il rispetto dei boss, tanto da vedersi affidare in gestione la piazza 219 di Melito, che frutta un guadagno di circa 40mila euro al mese. Ma col passare del tempo qualcosa cambia. Agli occhi dei capi che prima tanto lo apprezzavano, diventa scomodo. Comincia a difendere gli affiliati, pretendendo che questi vengano pagati bene. E, nell’autunno del 2012, durante la terza faida di Scampia, mette in discussione le decisioni di Mariano Riccio e Carmine Cerrato. La sua aperta critica alla loro gestione, la capacità di assumere decisioni in autonomia e soprattutto il prestigio di cui godeva verso numerosi affiliati, lo resero in breve “poco affidabile” e quindi pericoloso perché avrebbe potuto, in caso di arresto, collaborare con la giustizia, oppure porsi a capo di un’ulteriore frangia di scissionisti. Riccio e Cerrato decretano, quindi, la sua morte.

A eseguirla dovrà essere Francesco Paolo Russo, killer emergente e, soprattutto, amico e persona di fiducia del giovane. E’ lui ad attirarlo in una trappola e a premere il grilletto. I carabinieri ritrovano il suo corpo la mattina del 3 dicembre 2012 sul ciglio di una strada. Al polso ha un Rolex e in tasca 4mila euro. Da quel momento Russo divenne il killer di riferimento di Riccio nonché responsabile del settore degli stupefacenti. Il tradimento dell’amico collocò, temporaneamente, Russo ai vertici del clan, in un’effimera parabola che si chiuse prima con la marginalizzazione da parte di Riccio, sempre sospettoso delle figure emergenti, e quindi con l’arresto.
La notifica della condanna in carcere per Mariano Riccio e Paolo Francesco Russo è avvenuta nel giugno del 2019.