Dietro il più grande nemico del clan Savastano, l’uomo che non ha bisogno di niente, interpretato da Marco Palvetti nella serie tv targata Cattleya, c’è la storia di Raffaele Amato, il boss degli Scissionisti che una volta rimase ostaggio dei narcos colombiani per concludere un affare.
Prosegue la serie di articoli di Stylo24 alla scoperta dei veri volti che si celano dietro i personaggi di ‘Gomorra – La Serie’, che il 19 novembre si appresta a raggiungere la quinta e ultima stagione. Dopo aver raccontato le vicende di Gennaro e Pietro Savastano, di Enzo “Sangue Blu” e Ciro Di Marzio, è la volta di Salvatore Conte. Il personaggio interpretato da Marco Palvetti è, nelle prime due stagioni della serie, il più grande nemico del clan Savastano. Così come Raffaele Amato lo è della cosca di via Cupa dell’Arco. Prima uomo più fedele del boss Paolo Di Lauro e poi avversario numero uno del figlio Cosimo nella faida di Scampia, che vedrà gli Scissionisti, guidati proprio da ‘O Lello dalla Spagna, uscire assoluti vincitori.

Eppure, come ha raccontato il pentito Maurizio Prestieri, proprio Paolo Di Lauro era molto “cordiale” con Raffaele Amato. Lo considerava uomo di assoluta fiducia. Un episodio a testimonianza di ciò arriva dal racconto del collaboratore di giustizia Andrea Parolisi, che riferisce dei primi contatti con i narcos colombiani, che si riveleranno fondamentali per il consolidamento della figura criminale di Amato. «Nel 1994-1995 so che Paolo Di Lauro diede incarico a Raffaele Amato di rivolgersi direttamente in Colombia per acquistare la cocaina. Il contatto con il colombiano era stato fatto dallo stesso Amato in Spagna, visto che al tempo lui faceva droga per conto di Di Lauro insieme a gente di Casoria e di Casavatore. Questo colombiano gli fece conoscere altri soggetti in sud America… durante la trattativa e sino all’avvenuta consegna dei soldi provenienti da Di Lauro, Raffaele Amato era rimasto nelle mani dei trafficanti colombiani a garanzia dell’affare. Questi ultimi vista l’affidabilità dei Di Lauro e dello stesso Amato avevano poi intrapreso consuetudinari rapporti con questi soggetti per affari di droga senza bisogno ogni volta che Amato fosse dato fisicamente a garanzia dell’affare. Recentemente Amato in Spagna ha i contatti con i suoi appoggi colombiani».
I contrasti con Cosimo
I problemi sorgono quando il clan viene seriamente danneggiato dall’inchiesta della procura antimafia del settembre 2002, che costringe Ciruzzo ’o milionario alla fuga. Un potere che, evidentemente, infastidisce non poco il figlio del boss, che lo accusa di aver intascato il provento della compravendita di una partita di cocaina, del valore di tre milioni di euro, obbligandolo ad espatriare e a rifugiarsi in Spagna, da dove organizza e coordina la faida contro i suoi ex soci in affari. Inizia così la stagione del terrore e delle stragi, a Secondigliano.

È Giuseppe Misso jr a raccontare le origini della faida nell’interrogatorio del giugno 2007: «A Raffaele Amato fu intimato, da Cosimo, di abbandonare proprio il territorio di Napoli facendo intendere che l’avrebbe ucciso se non l’avesse fatto e che egli non si motivava a tale gesto per rispetto del padre Paolo che sapeva avere grande affetto nei confronti di Amato, che per suo conto gestiva i canali di approvvigionamento di droga dalla Spagna dove confluiva anche quella proveniente dal Sud America. Amato fece buon viso a cattivo gioco e si allontanò. Dalla Spagna si mise in contatto con i capi… facendo leva sull’irragionevolezza di Cosimo. Egli riuscì a portare dalla sua parte queste persone che non sopportavano di essere comandate da un giovane. Posso dire questo che è la stessa cosa che è capitato all’interno del nostro clan e da cui poi è scaturita la cosiddetta faida della Sanità. La strategia di Amato ebbe vita facile anche in conseguenza del comportamento tenuto dal Cosimo sin da quel lontano 2002 nel senso che lui, stante la sua giovane età, non comprese che avrebbe dovuto parlare con questi anziani e mediare con loro visto che egli aveva desiderio, a differenza del padre che voleva coltivare solo l’aspetto del riciclaggio e quindi dell’investimento delle ingenti ricchezze provento di droga, anche e soprattutto l’aspetto militare del clan egemone a Secondigliano. Egli cioè voleva essere un capo indiscusso e non come aveva fatto il padre quella persona che aveva consentito ad altri malavitosi di gestire autonomamente porzioni di territorio controllate dal clan Di Lauro… so per certo tutti loro gioirono allorquando fu catturato Cosimo Di Lauro. Pertanto ben si comprende il desiderio degli scissionisti che anche in questi giorni si sta compiendo attraverso un’accorta strategia suggerita dallo stesso Salvatore Lo Russo di espugnare tutte le poche piazze di droga rimaste ai Di Lauro dopo la pace».
L’ossessione di essere intercettato
Una volta conquistato il potere criminale, Raffaele Amato diventa ancora più sospettoso e alla ricerca estrema ed esasperata di sicurezza rispetto alle intercettazioni. Tanto che, come racconta il pentito Antonio Pica, «Amato ci chiese di prendere tutti i cellulari in possesso dei ragazzi sulle piazze di droga per un totale di duecento, trecento cellulari minimo…». Tutto ciò per evitare che qualcuno potesse arrivare a lui. E non mancavano le continue “bonifiche” contro le cimici e le varie apparecchiature elettroniche. Antonio Prestieri ricorda un incontro con il boss, nel corso del quale gli fu mostrato «uno strumento che portava due antenne in grado di segnalare, senza intercettarle, tutte le telefonate effettuate nel raggio di un chilometro», in grado – anch’esso – di individuare microspie che trasmettevano i segnali sulla linea telefonica.
Nel corso di una fiera a Londra, aperta ai dirigenti dei servizi segreti di Israele, Germania e Stati Uniti, acquistò un apparecchio, del costo di 150mila euro, utilizzato per annichilire, in un raggio abbastanza ampio, i segnali elettrici provenienti da radio, cellulari e microspie.
Lo scorpione
Il simbolo di Raffaele Amato, che contraddistinguerà lui e i suoi carichi di stupefacenti importati prima dal Libano e dall’Afghanistan poi dalla Colombia, attraverso il canale spagnolo, sarà uno scorpione. Quando si trasferisce nella penisola iberica, comincia a muoversi tra Madrid e Barcellona, impara la lingua e, con la sua droga segnata dallo scorpione, inonda la piazza partenopea. L’ultimo e definitivo arresto arriverà il 17 maggio 2009, quando i poliziotti della Squadra mobile di Napoli lo bloccano dopo un inseguimento durato cinquanta chilometri, a Malaga. La sua estradizione, qualche tempo dopo, impegnerà trenta agenti di scorta e un elicottero di appoggio per scongiurare il pericolo di un attentato nei suoi confronti.
