Scoperti anche ricatti a sfondo sessuale
Per arrivare alla firma di contratti su forniture di «materiale» anti-Covid, come mascherine e camici, avrebbero deciso persino di offrire al manager di un istituto del gruppo ospedaliero San Donato «un incontro» con una prostituta in un albergo di lusso di Milano, cercando di documentarlo con delle fotografie per tenerlo «sotto scacco».
Emerge anche questo scenario di ricatti a sfondo sessuale dalle pieghe di un’inchiesta della Dda milanese su persone ritenute vicine alle cosche della ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo (fra Milano e Varese) e Vibo Valentia e, in particolare, al clan Mancuso. Un’indagine dei Nuclei di polizia economico finanziaria della Gdf di Varese e Milano, coordinata dai pm Alessandra Cerreti e Silvia Bonardi, che ha portato all’arresto di sei persone che svuotavano società in crisi con distrazioni milionarie, girando parte dei soldi alle famiglie di boss e affiliati detenuti. E da cui sono venuti a galla tentativi di infiltrazione nel settore sanitario lombardo.
L’inchiesta, condotta anche dal Nas dei carabinieri, aveva avuto un primo capitolo nel dicembre 2020 sulla gestione, ritenuta «opaca», dei tamponi ai giocatori del Monza Calcio, che erano stati sequestrati. E che vedeva già al centro Gianluca Borelli (indagato), pregiudicato per bancarotta, e Cristiano Fusi (indagato), ex medico del settore giovanile del Milan, oltre che del Monza, che aveva pure uno studio alla clinica milanese Madonnina.
L’uomo «cerniera»
Borelli, ritenuto dai pm «uomo cerniera» perché vicino ad Enrico Barone – finito in carcere con l’accusa di associazione a delinquere aggravata dall’aver favorito i clan – avrebbe eseguito tamponi sia all’interno della Madonnina che per il Monza, pur non essendo un medico. «Alfonso ti dà lo studio (…) falli entrare uno alla volta (…) dai meno nell’occhio ti prego», gli diceva Fusi, all’epoca responsabile Riabilitazione specialistica degli Istituti Clinici Zucchi, gruppo San Donato. Tra i 59 capi di imputazione formulati dai pm c’è anche quell’incontro «organizzato» da Borelli e Fusi tra un manager e una giovanissima prostituta, pagata 500 euro (è indagato anche il portiere dell’albergo). E ciò in cambio, spiegano i pm, della «utilità consistente nell’avvio di trattative» con l’istituto clinico «finalizzate alla stipulazione di contratti aventi ad oggetto la fornitura di materiale per Covid».
Le intercettazioni
In una telefonata del settembre 2020 Fusi, parlando con Borelli e riferendosi al dirigente, diceva: «Lui è il principino ma … da oggi pomeriggio il principino è sotto scacco». E una terza persona, Josef Amini, che aveva contattato la ragazza e prenotato la camera d’albergo, esclamava: «Speriamo! Dobbiamo chiudere l’operazione». Quest’ultimo avrebbe avuto «documentazione fotografica dell’incontro da utilizzare per il conseguimento dell’utilità».
In una chat scriveva: «Tranquillo esce con le ossa rotte». Per questo episodio su Fusi e Borelli pende un’accusa di sfruttamento della prostituzione, mentre nel caso tamponi la contestazione è di esercizio abusivo della professione. Per loro, come per altre 10 persone, la Dda aveva chiesto il carcere, negato dal gip Tiziana Gueli, con la Procura che ora è pronta a fare appello al Riesame. Il giudice ha accolto per le esigenze cautelari solo «i fatti di maggiore gravità», ossia le bancarotte, l’associazione aggravata dall’agevolazione mafiosa e una tentata estorsione. Non tutte le altre imputazioni, perché la richiesta dei pm, scrive, «interviene a distanza di tempo dai fatti, collocati negli anni 2018, 2019 e 2020, cui deve aggiungersi il tempo intercorso per la valutazione della vicenda da parte di questo giudice».