Le parole intercettate di un imprenditore legato a doppio filo a un clan del Vesuviano
I parenti di un imprenditore legato a doppio filo ai Fabbrocino (organizzazione criminale attiva nella zona di San Giuseppe Vesuviano e nei comuni vicini) ricevono una richiesta estorsiva da parte di un gruppo che agisce al di là del territorio controllato dal clan. Si tratta di una tangente di 100mila euro, e per questo, il commerciante compariello del reggente dei Fabbrocino, chiede a quest’ultimo di interessarsi della questione. Il boss allora organizza una riunione a casa sua, e manda a chiamare il capo del gruppo che ha avanzato la richiesta estorsiva. «All’inizio – dice, intercettato, l’imprenditore –, il compare non voleva fare carte, non voleva interessarsi, perché i miei parenti ce li ha sulle palle, poi alla fine mi ha fatto il piacere, per rispetto e amicizia a me». «E come è andata a finire?», gli chiede l’interlocutore. «Che invece di 100mila euro, questi parenti miei che tengono la fabbrica, gliene devono dare 15mila all’anno, in tre rate: a Natale, Pasqua e Ferragosto». «E allora, è andata bene», replica l’amico dell’imprenditore. «Sì, però io dico, è andata bene che la fabbrica lavora e fattura milioni di euro. Ma metti che un anno, il lavoro si ferma? Loro comunque gli devono dare 15mila euro a questi qua. Io non capisco più niente, e ho dovuto tamponare; perché è meglio che questi che stanno in mezzo alla strada (i malavitosi, ndr), vengono a fare una rapina nel magazzino, lo bruciano, oppure è meglio che uno dà i soldi? E tampona?», afferma l’imprenditore. «Pure perché a questi qua, compreso me – sottolinea, denunciando la vicinanza ad ambienti camorristici – non conviene che stanno le guardie nella zona».