di Giancarlo Tommasone
Il professore Luigi Labruna, luminare di Diritto romano, è intervenuto con un editoriale su la Repubblica Napoli, in cui ha affrontato la questione della trattativa Stato-mafia. Ha spiegato il professore che, al momento, appare impossibile esprimere un giudizio sulla sentenza e che occorrerà aspettare le motivazioni. E nemmeno allora, sarà semplice. Labruna ha tenuto a sottolineare come la trattativa in sé non rappresenti un reato, tanto è vero che vi si ricorre apertamente per dissuadere sequestratori o terroristi. Ma allora, si chiede il professore, quali siano le colpe addebitate agli imputati dalla Procura. Che, sottolinea, ispirata dai pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo ha addebitato a questi ultimi di essere “la cinghia di trasmissione” per portare ai massimi organi dello Stato le richieste del presunto “papello”.

Documento, che però nessuno ha mai trovato, anche se tutti i pentiti ne parlano. Nessuna delle richieste del “papello” fu accolta, ma c’è la questione del guardasigilli di Ciampi, Conso, che decise di non rinnovare a un gruppo di circa trecento mafiosi, il regime del 41 bis.
Labruna si sofferma sul comportamento del pm Di Matteo, ora alla Dia, che scrive il professore: “Ostenta vicinanza a un partito quasi vincitore alle elezioni (Movimento 5 Stelle, ndr) e ha attaccato pubblicamente Csm e Anm per non averlo difeso”. La trattativa, dunque, torna ancora sotto i riflettori, e non finirà di rimanervi.
Il nodo della questione è rappresentato dalla mancanza di mandanti, perché se è vero che vengono condannati i militari del Ros, è altrettanto vero che Calogero Mannino e Nicola Mancino siano stati assolti. E loro erano stati accusati proprio di essere i mandanti della trattativa.