Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia allegate agli atti del processo imbastito contro la mafia stragista
di Giancarlo Tommasone
Il piano separatista parte da lontano, dalla fine degli anni Settanta. E vede muovere i fili a Licio Gelli, il Gran Maestro fondatore della Loggia P2. E’ lui il deus ex machina del progetto, secondo quanto emerge dalle centinaia di pagine di documentazione allegate agli atti del processo ’Ndrangheta stragista (conclusosi alla fine di luglio scorso con la condanna all’ergastolo dei boss Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone). Oltre ai rapporti con la camorra campana (soprattutto con i Casalesi, sponda Bidognetti), sono acclarati, e ben più «antichi» quelli con le cosche ’ndranghetiste reggine.
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A relazionare circa l’esistenza di una «stanza dei bottoni che comanda la ’Ndrangheta militare» è stato, tra gli altri, il collaboratore di giustizia Consolato Villani. Che parla pure della presenza e dell’influenza, anche indiretta, sulle dinamiche criminali calabresi, di Licio Gelli, attraverso esponenti politici e professionisti, iscritti alla P2. Legami tra la massoneria deviata e la mafia calabrese, emergono pure dalle dichiarazioni del pentito Filippo Barreca, che nel corso dell’interrogatorio del 24 gennaio 1995, racconta dell’esistenza, sin dai «primi mesi dell’anno 1979 di una loggia segreta a Reggio Calabria, a cui appartenevano professionisti, rappresentanti delle istituzioni, politici e ’ndranghetisti».
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Sempre Barreca dichiara che, «la loggia segreta di «Reggio Calabria era stata costituita inizialmente da Franco Freda (patavino, ex terrorista nero, ndr) nel contesto di quel più ampio progetto nazionale». Progetto nazionale eversivo al quale, spiega il pentito, avevano aderito «le più importanti personalità cittadine (di Reggio Calabria)». Taluni componenti della loggia appartenevano anche alla P2, racconta Barreca, che chiarisce: «Le competenze della loggia, come detto, si fondavano su una base eversiva. Ma, prevalentemente, la loggia mirava ad assicurarsi il controllo di tutte le principali attività economiche, compresi gli appalti, della provincia di Reggio Calabria; il controllo delle istituzioni a cui capo venivano collocate persone di gradimento e facilmente avvicinabili; l’aggiustamento di tutti i processi a carico di appartenenti alla struttura».