LA STORIA DELLA CAMORRA Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia: la inviammo per far mettere in contatto Ciruzzo ’o milionario con nostro zio Maurizio Prestieri
Prima che si imbracciassero le armi e si desse ufficialmente avvio alla faida di Scampia e Secondigliano, c’erano stati dei tentativi, attuati per comprendere il livello di malumore all’interno del clan Di Lauro, e cercare di trovare una soluzione. A muoversi, anche Maurizio Prestieri (poi passato a collaborare con la giustizia), all’epoca latitante in Spagna, personaggio di spicco dell’organizzazione criminale di Cupa dell’Arco e fedelissimo di Paolo Di Lauro (anche detto Ciruzzo ’o milionario).
Grazie a una serie di telefoni «puliti», Prestieri era in contatto con il fratello Tommaso, e con i nipoti, Antonio Prestieri e Antonio Pica, che lo tenevano informato circa l’evoluzione delle dinamiche che si registravano nell’area di competenza della cosca. Era venuto a conoscenza anche delle fibrillazioni e dei discorsi «separatisti» fatti da Gennaro Marino e Arcangelo Abete, in presenza dei nipoti e del fratello (di Prestieri). A questo punto, extrema ratio, c’era una sola cosa da fare: avvisare Paolo Di Lauro di quanto stava accadendo. Cosa non facile visto che sia Prestieri che Ciruzzo erano latitanti.
Leggi anche / Dieci camorristi per
sfrattare di casa la mamma 70enne del boss
Del tentativo di incontro (circostanza che avviene nel 2003) rendiconta proprio Antonio Pica, una volta passato a collaborare con lo Stato. «Riuscimmo a entrare in contatto con nostro zio, grazie ad alcuni telefoni che aveva inviato dalla Spagna. Lui parlò con zio Tommaso, che poi mi raccontò il contenuto della telefonata». In pratica, Maurizio Prestieri «disse che noi eravamo Di Lauro, che eravamo nati con loro e tali dovevamo morire. E dovevamo far sapere subitoa Cosimo (figlio di Paolo, e allora reggente del clan, ndr) quello che stava accadendo».
Ma c’è un problema di fondo, e lo spiega Pica ai pm: «Noi, vivendo sul territorio, sapevamo che non potevamo dirlo a Cosimo, perché per quest’ultimo, sia Marino che Abete (che non si erano ancora rivelati nelle loro intenzioni di scissione, ndr), erano persone fidate, ed eravamo sicuri che non ci avrebbe creduto».
La nonna dei boss
lasciata alla porta
Stando così le cose, nel corso di un’altra telefonata «mio zio Maurizio – racconta Pica – ci disse di mandare mia nonna o qualcuno di fiducia, dai Di Lauro. Noi mandammo nostra nonna dalla moglie di Paolo Di Lauro, per farle dire che Maurizio Prestieri aveva massima urgenza di mettersi in contatto col marito. Nostra nonna fu accompagnata da una persona detta “capucchione”, ma non fu ricevuta a casa Di Lauro».