Finché il poltronificio Insurgencia è rimasto aperto, l’ex assessore si riconosceva nel progetto arancione. Adesso che è scattato il «liberi tutti» cerca come ricollocarsi
di Giancarlo Tommasone
«Orso si sposta goffamente con passo irregolare nel flusso irregolare della gente che scontra…», cantano i Marlene Kuntz. E’ Sonica, un brano che l’ex assessore alla Cultura del Comune di Napoli, Eleonora De Majo, conoscerà sicuramente, visti i suoi trascorsi e il suo background da scena alternativa. E come l’Orso di Cristiano Godano, appare goffa (nel senso peggiore del termine) l’uscita di scena della delegata alla Cultura, che si accommiata dalla Giunta attraverso una lettera su Facebook, messaggio che tra l’altro recita: «Ho tuttavia deciso di rassegnare le dimissioni e di consegnarle al Sindaco, nonostante non mi sia stato chiesto alcun passo indietro, perché se è vero che oramai da tempo non mi riconosco più in questo progetto politico e amministrativo…».
Bene, all’improvviso, De Majo dice di non riconoscersi più nel progetto arancione; di contro vi si riconosceva quando ha studiato per la delega alla Cultura dal suo predecessore Daniele, ed è stata promossa assessore nella terza città d’Italia, senza avere un minimo di competenza; quando il poltronificio Insurgencia funzionava a meraviglia (vogliamo ricordare anche l’incarico di assessore in III Municipalità, al compagno della De Majo, Egidio Giordano); quando de Magistris non ha preso posizione – e di fatto l’ha difesa – rispetto alle uscite infelici sul sionismo (ricordate la questione Segre?), oppure sulla vicenda della stanza della sua casa, fittata ai turisti, mentre pubblicamente affermava di difendere il centro storico dai B&B e dalla gentrificazione; quando De Majo, libera di muoversi, si sentiva la reginetta dello spettacolo a Napoli, organizzando festival monocolore insieme al direttore artistico Massimiliano Jovine.
Allora, l’assessore, come pure il compagno (che aveva strutturato perfino lo Stormo – il gruppo rivelato da Stylo24 – a difesa dei social di Luigi de Magistris), e come altri compagni di Insurgencia, si riconoscevano perfettamente nel progetto di Giggino. Adesso che il leader ha la testa in Calabria, adesso che tra qualche mese molti avranno il serio problema di vedere cosa mettersi a fare nella vita, bisogna guardarsi intorno. E allora può pure essere comprensibile che non ci si ritrovi più in progetti ormai scaduti. Però quello che veramente non si riesce a tollerare, sia da parte di De Majo, che da parte del sindaco, è rinfacciarsi le cose, cercando di accrescere la loro presentabilità agli occhi dell’opinione pubblica, quando sono ugualmente, politicamente impresentabili.
Dell’ormai ex assessore abbiamo già detto, ora occupiamoci del primo cittadino. Che in risposta alla lettera di dimissioni della De Majo, dice: va bene così, dai giovani si possono accettare anche intemperanze ed assenze di gratitudine. Vorremmo chiedere a Giggino: cosa si aspettava da persone che per sua stessa ammissione, non avevano alcun tipo di educazione né politica né istituzionale? Cosa poteva aspettarsi da un collettivo che doveva fare la guerra al sistema, prendere il Palazzo, e che alla fine nel Palazzo ci è entrato dalla porta principale, con le chiavi, e poi si è seduto, e si è alleato perfino con un carabiniere (l’ex capo di gabinetto Auricchio, ndr)?
Stylo24 lo aveva scritto in tempi non sospetti, che il rapporto tra de Magistris e Insurgencia sarebbe stato «cannibalizzato». Alla fine è successo proprio questo. Dunque, in un momento in cui la città sta sprofondando verso il punto più basso della sua storia – perché non ci sono servizi, le scuole sono chiuse, la pandemia imperversa – sia De Majo che de Magistris almeno evitino e ci risparmino questa pantomima di rivendicazioni l’uno l’altro, per recuperare quel minimo di verginità politica, che ai nostri occhi non hanno mai avuto.