Un malavitoso punito per aver recuperato un credito senza l’autorizzazione del clan Fabbrocino
Un malavitoso che non si attiene alle «regole» della camorra e non rispetta il clan Fabbrocino, è costretto a restituire (rimettendoci di tasca propria) la somma di 550mila euro. La vicenda emerge da una conversazione intercettata a luglio del 2009. A parlare è un esponente di spicco della cosca di San Giuseppe Vesuviano, che racconta a un sodale come sia intervenuto per mettere le cose a posto. Il soggetto al centro della discussione (il malavitoso che aveva sgarrato), era stato incaricato da un ercolanese di recuperare un credito vantato, di un milione e 50mila euro, presso il titolare di una impresa di Palma Campania, dunque in pieno «zona Fabbrocino».
Il debitore impaurito aveva ceduto oltre ai soldi che doveva, la sua Ferrari
Senza chiedere alcun permesso all’organizzazione criminale predominante sul territorio, l’uomo aveva raggiunto la sede della ditta, portandosi dietro un albanese e un rumeno, e aveva così pesantemente minacciato il debitore che quest’ultimo, non solo aveva immediatamente firmato una serie di assegni a soddisfacimento dell’intero credito, ma aveva anche ceduto una Ferrari (di colore nero).
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Venuta a sapere la cosa, il boss dei Fabbrocino era andato su tutte le furie e aveva immediatamente convocato colui che si era permesso di fare un recupero crediti in «casa loro», portandosi addirittura al seguito dei cittadini stranieri. «Tu sei un uomo di merda, sei venuto vicino alla camorra… ma chi ti ha dato l’autorizzazione?», aveva affermato il camorrista. Per cercare di riparare al danno fatto, il malavitoso redarguito, aveva proposto al boss di entrare in società con lui. «Mi disse – spiega il camorrista intercettato, al suo sodale – che con quei 500mila euro, il suo guadagno per aver recuperato il credito, avrebbe comprato una pompa di benzina, e offrì a me e a due parenti di Mario (il padrino fondatore dell’organizzazione, ndr) delle quote di partecipazione».
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La cosa fa infuriare ulteriormente l’esponente dei Fabbrocino, che racconta: «Io dissi: i parenti di Mario stanno fuori dalla camorra, lavorano. E tu non ti devi permettere di nominare il nome di Dio invano (riferendosi alla circostanza che era stato tirato in ballo il “capo supremo” del clan)… hai capito? Non ti permettere più… ti apro la testa». Alla fine, il malavitoso che aveva sbagliato a comportarsi, fu costretto non solo a ridare indietro gli assegni (per un totale di 500mila euro) staccati dall’imprenditore di Palma Campania, ma a restituire a quest’ultimo, di tasca propria, gli altri 550mila euro (a totale copertura della somma). E naturalmente, il clan impose che anche la Ferrari dovesse tornare nella disponibilità del suo proprietario originario.