di Antonio Averaimo
Più di una persona ha storto il naso quando nei giorni scorsi è stato annunciato il suo passaggio da consulente per la Portualità e la Logistica del ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio a direttore di Confetra, la federazione che riunisce le principali associazioni del settore della logistica e che fa capo a Confindustria. Da controllore a controllato. Una procedura potenzialmente censurabile peraltro, sostiene qualcuno. Il testo unico sul Pubblico impiego, infatti, stabilisce che il dipendente pubblico che abbia esercitato poteri autoritativi o negoziali verso soggetti privati non possa intrattenere con essi rapporti professionali nei tre anni successivi alla cessazione dell’incarico pubblico.

Per giunta, l’Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone ha dato un’interpretazione molto estensiva della norma, ricomprendendovi anche i collaboratori esterni. Ma il neo-presidente di Confetra Ivano Russo, napoletano, classe 1978, laurea e dottorato in Scienze politiche, non è nuovo ai salti fra mondo delle imprese e politica. Dal 2010 al 2013 ha infatti ricoperto l’incarico di responsabile del Centro studi dell’Unione Industriali di Napoli. Poi il ritorno alla politica, il primo amore, al fianco di Delrio.

Figlio di uno storico collaboratore del presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, aveva lavorato proprio con lui al Parlamento europeo (oltre che con Gianni Pittella), diretto la rivista bimestrale Mezzogiorno Europa, fondata proprio dall’ex capo dello Stato. Una parentesi anche alla guida della sede napoletana della Fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema. Ma da Napolitano e D’Alema a Renzi il passo è breve. In piena stagione renziana, con il segretario dimissionario del Pd a palazzo Chigi, Russo entra a far parte della squadra di Delrio, all’epoca sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla Coesione territoriale.

Lo segue al ministero delle Infrastrutture: qui comincia il rapporto col mondo della logistica. Nel dicembre scorso sembra già parlare da direttore Confetra, quando al convegno natalizio di Federagenti afferma che «i porti non sono il Bancomat del Mef e che il ministero dell’Economia deve ascoltare anche le istanze di questa categoria» e striglia gli operatori invitandoli a perdere meno tempo in discorsi e richieste futili e a concentrarsi invece sul modo migliore per sfruttare le opportunità introdotte dalla riforma dei porti dato che «fra qualche anno l’85% del demanio portuale in Italia sarà nelle mani di tre gruppi e alleanze (MSC, Maersk e Cosco)».

Tanti i vantaggi avuti dal settore con Delrio al ministero delle Infrastrutture e Russo come suo principale interlocutore: sburocratizzazione, attenzione e incentivi. Ma anche supporto informale e – sostiene qualcuno – anche una provvidenziale inerzia, come nel caso del regolamento sulle concessioni portuali.
Il provvedimento, che per l’assegnazione delle concessioni introdurrebbe l’obbligo di gare in luogo della procedura di proroga su istanza del concessionario, promesso da Delrio già a inizio mandato, non ha mai visto la luce. Un operato, quello del ministro e del suo consulente, sempre lodato dalla lobby di settore e conclusosi con l’ingaggio di Russo a capo di Confetra.