Giovanni Favarolo, ex uomo del sistema del Parco Conocal di Ponticelli, racconta il suo ingresso nella criminalità organizzata: «In quattro mi puntarono contro le pistole, Savio mi disse che non mi avrebbero ucciso solo perché c’era la bambina»
Diventare camorristi per vendicarsi di un agguato subito. Succede nella degradata periferia est di Napoli, dove un uomo con qualche amicizia a rischio, ma senza legami conclamati con la criminalità organizzata, decide da un giorno all’altro di imboccare la strada sbagliata: «Sono entrato ufficialmente nel gruppo D’Amico dopo che io e la mia fidanzata eravamo stati minacciati con armi da esponenti del clan De Micco e in particolare da Gennarino Volpicelli, Mario Noto, Fabio Riccardi, Salvio De Micco e Domenico Limatola, cognato di Fabio Riccardi. Fui minacciato perché la sera precedente io e Giuseppe D’Amico avevamo inseguito Fabio Riccardi, Mario Noto e Gaetano Caputo, che pur estraneo al sistema camminava sempre con loro».
È questa l’incredibile storia di Giovanni Favarolo, affiliato al clan D’Amico “Fraulella” di Ponticelli, che ormai da tempo ha deciso di intraprendere un percorso di collaborazione con la giustizia. Le sue dichiarazioni hanno già contribuito allo sviluppo di diverse inchieste giudiziarie, su tutte quella che nel 2016 ha disarticolato il clan con base al Parco Conocal, l’operazione “Deledda”, ma oggi le sue accuse sono anche agli dell’ultima indagine che pochi giorni fa ha portato alla cattura degli ultimi reggenti del gruppo De Martino, alias “Xx”, clan alleato dei temibili De Micco. Puntanto il dito contro il presunto affiliato Mario Noto, altra vecchia conoscenza delle forze dell’ordine, Favarolo ha ricordato, l’11 ottobre 2013, il suo ingresso nel crimine: «Siamo stati avvicinati da Salvatore De Micco, Mario Noto, Gennaro Volpicelli e Fabio Riccardi e Mimmo il cognato di Fabio Riccardi a bordo di una Fiat Stilo. Sono scesi dalla macchina con le pistole in pugno e mi hanno puntato tutti e quattro le pistole alla testa. Solo perché De Micco glielo ha impedito non mi hanno ucciso».
Proprio riferendosi al ras dei “Bodo”, il pentito ha poi aggiunto: «In particolare Salvio De Micco mi disse che quel giorno non mi avrebbero ucciso perché c’era la bambina. Mi propose di andare da lui a parlare, ma non so cosa volesse. Io avvertii immediatamente Peppino Fraulella di quello che era successo e subito lui mandò Salvatore Ercolani e Gaetano Lauria a sparare sotto casa di Fabio Riccardi. Dopo qualche ora andarono anche a casa della mamma di Mimmo e spararono alle finestre. In quell’occasione c’erano Mario Buonomo e Gaetano Lauria». In un successivo interrogatorio, al quale è stato sottoposto il 2 aprile 2014, Favarolo ha poi fornito ulteriori precisazioni: «Noi – riferendosi all’inseguimento di cui si rese protagonista – non eravamo neanche armati, ma li inseguimmo perché D’Amico voleva minacciare in particolare Fabiolino. Dopo un poco desistemmo dall’inseguimento. Con Carmine c’erano altri cinque ragazzi e insieme andammo a sparare a Ponticelli. Per noi c’eravamo io e Giuseppe D’Amico, armato, a bordo della mia Hornet; Mario Bonomo alla guida della Ducati Monster con Gaetano Lauria». Scene di ordinario far west, che ancora, nonostante decine di arresti e pentimenti eccellenti, continuano purtroppo a registrarsi.