Il Presidente della Banca di Credito Cooperativo di Napoli a Stylo24: l’operazione metterebbe insieme due dei primi tre istituti italiani, ma non è ancora fatta.
Intesa Sanpaolo ancora protagonista del risiko bancario con una offerta a sorpresa su Ubi banca, che alcuni giorni fa ha presentato il suo nuovo piano industriale al 2022. La banca guidata da Carlo Messina ha lanciato una offerta pubblica di scambio volontario sulla totalità delle azioni di Ubi banca. Una operazione, non concordata ma nemmeno ostile, con Ubi che non commenta l’offerta, finalizzata a “consolidare la leadership” di Cà de Sass nel settore bancario con un gruppo in grado di realizzare utili superiori ai 6 miliardi di euro al 2022. Per ogni 10 azioni di Ubi banca portate in adesione all’offerta saranno corrisposte 17 azioni ordinarie di Intesa Sanpaolo di nuova emissione, valorizzando quindi Ubi 4,86 miliardi di euro.
Una eventualità che avrebbe non poche ripercussioni e della quale Amedeo Manzo, Presidente della Banca di Credito Cooperativo di Napoli, ha parlato con Stylo24.
Come cambia lo scenario bancario italiano la “scalata” di Intesa ad Ubi?
«Siamo di fronte a una nuova organizzazione che si muove, un insieme di grandi banche che hanno sempre maggiori difficoltà a realizzare la mission creditizia tradizionale, quindi finiscono col seguire il modello dei grandi gruppi. Ma la ricerca dell’ottimizzazione dei costi, dal mio punto di vista, ci allontana sempre più dai territori. Infatti nel ragionamento Ubi-Intesa era prevista la cessione di un notevole numero di sportelli, che peraltro sono dedicati sempre più ad attività che producono margine da servizi e sempre meno di carattere creditizio, facendo perdere vocazione al rapporto con la gente. Il tutto per rientrare in quella concezione di banca internazionale, che spesso vediamo in altri Paesi. Ma nel nostro, dove ci sono per 95% piccole e piccolissime imprese, c’è necessità ancora di avere un rapporto con le persone, mettendole al centro del processo, parlando con loro e sostenendo quell’economia reale di cui l’Italia, la Campania e Napoli hanno bisogno».
Dovremo aspettarci un super-polo bancario unico in Italia, di questo passo?
«L’idea sarebbe questa, ma resta comunque un discorso complicato. Sono in tantissimi coloro che hanno delle composizioni all’interno del capitale di Ubi a dover votare a favore di una operazione che metterebbe insieme due delle prime tre banche italiane. Vorrebbe dire creare un super-polo, sovrapporlo, miscelare il personale. In ogni caso, si tratta di una versione “supermarket” del Credito, mentre secondo me una versione che potremmo definire “boutique” è ancora necessaria, per tenere vivo il rapporto con le persone».
Qual è il ruolo del Credito Cooperativo in questo contesto di maxi-aggregazioni?
«Noi abbiamo risposto alle esigenze di innovazione, di banca dal terzo millennio, con la costruzione di un Gruppo Bancario Cooperativo, che mette insieme ben 142 Bcc azionisti in tutta Italia, con circa 3mila sportelli e servendo oggi diversi milioni di clienti. Parliamo del terzo gruppo bancario nazionale e sicuramente il primo a capitale italiano. Perché non dobbiamo dimenticare la forza degli azionisti: se in una banca l’azionista è straniero e siede nel Consiglio di amministrazione, difficilmente avrà a cuore gli interessi di quel territorio».
La Bcc di Napoli come si muove in un contesto socio-economico di grande difficoltà?
«Ci muoviamo in uno “tsunami” normativo, che tende a livellare e omogeneizzare le banche, che vorrebbe far uscire dall’agenda il cliente, il socio, la persona. Invece noi crediamo in un modello di “biodiversità” bancaria. Mettiamo al centro del nostro modello di servizio gli artigiani, i piccoli commercianti, i piccoli e medi industriali, le famiglie, le start-up, i giovani. Abbiamo anche e soprattutto una funzione sociale di sostegno all’economia. Per ben due guerre mondiali, il Credito cooperativo ha sostenuto le imprese italiane, in chiave anticiclica, indipendentemente da ciò che dicevano i bilanci. E lo ha fatto pagando anche un prezzo. Ma “fare banca” non significa soltanto massimizzare i profitti, bensì sostenere la gente, l’Italia, la Campania, Napoli. E, infatti, la centralità dell’uomo è un modello che oggi sta avendo interesse di carattere internazionale. Io stesso sono stato premiato a Washington per l’innovativo concetto del “rating umano” che porto avanti da tanti anni e anche la Rai Uno, assieme a Rai Vaticano, durante la trasmissione “Viaggio nella Chiesa di Francesco”, ci ha chiesto di portare una testimonianza sul tema».