I disturbi del comportamento alimentare colpiscono circa 3 milioni di persone all’anno, di cui una percentuale importante composta da adolescenti
I disturbi del comportamento alimentare colpiscono in media 2 milioni di adolescenti e preadolescenti, solo in Italia, in cui, complessivamente, sono 3.5 milioni le vittime di questa malattia. E’ stato accertato, inoltre, che nel solo 2018 le vittime mietute sono oltre 3mila, ed in periodo di restrizioni e lockdown, sono terribilmente aumentate le diagnosi di questa patologia. I d.c.a. sono considerati una malattia psichiatrica, e non tutte le malattie psichiatriche hanno numeri così alti di mortalità fra i giovani adolescenti: solo quelli derivati dagli incidenti stradali, superano quelli da d.c.a..
Eppure, nonostante siano una malattia psichiatrica, non sono inglobati all’interno della salute mentale, e, quindi, rientranti nei l.e.a., i livelli essenziali di assistenza, in cui tutti i cittadini possono usufruire gratuitamente o dietro pagamento del ticket, dal servizio sanitario nazionale, le prestazioni ed i servizi medici.
Di questi squilibri, ne abbiamo parlato con Stefano Tavilla, presidente dell’associazione Mi Nutro di Vita nonché papà di Giulia, una ragazza di 17 anni morta per bulimia nel 2011: «La situazione che si è creata in questi mesi successivi al lockdown è talmente grave da non lasciare altra scelta. I problemi relativi alla mancanza di una legge che inserisca i DCA nei livelli essenziali di assistenza, come patologie a se stanti, e che quindi gli assegni un budget specifico e vincolato per ogni regione italiana, che già erano drammatici prima dell’epidemia, ma che a seguito della stessa sono esplosi in tutta la loro potenza.
L’osservatorio della ASL Roma 1 – una delle poche a raccogliere dati statistici – riferisce di un aumento dei casi per gli under 18 nei quindici mesi successivi al lockdown del 231,7%. A fronte di questo aumento impressionante, non c’è nessun impegno concreto da parte delle istituzioni non solo per risolvere ma nemmeno per tamponare l’emergenza. I reparti chiudono invece di aprire, gli ambulatori arrancano e i pochi centri disponibili sono quasi tutti privati convenzionati, con un numero di posti in convenzione non sufficiente a coprire la domanda sempre crescente. L’età d’esordio della malattia si abbassa sempre di più ed è devastante per noi attivisti doverci arrendere a una realtà fatta di ritardi, incompetenze, scarico di responsabilità, logiche economiche e interesse politico. È devastante dover contare il numero delle morti su questo pallottoliere dell’orrore». L’associazione del Movimento Lilla, ha organizzato una manifestazione prevista per l’8 ottobre in Piazza Montecitorio al fine di far conoscere questo tema e di far sensibilizzare.
Al presidente Tavilla, gli fa eco Vittoria Laboccetta, giovane napoletana da sempre attenta al problema: «La pandemia ha stravolto in maniera totalizzante le nostre vite e senza rendercene conto ha tolto ogni spazio alla discussione e alla riflessione di temi altrettanto importanti e soprattutto invalidanti. Le patologie di questo tipo emergono in prevalenza tra i 12 e i 25 anni, ma ultimamente l’età di insorgenza dell’anoressia nervosa si sta abbassando: circa il 20% delle nuove diagnosi riguarda la fascia 8-14 anni. È importante sottolineare la costruzione sociale e culturale che si è creata intorno all’immagine di chi soffre di disturbi del comportamento alimentare. Gli stereotipi che popolano questa realtà non scarseggiano e vengono alimentati dai mass media e dai social media, attraverso immagini distorte di quella che è la malattia. Sottolineare questo dettaglio non è affatto banale, poiché ciò influenza l’attenzione che si dà al problema e alle relative cure. Per l’opinione pubblica, ma anche per chi ne soffre in prima persona talvolta, un ragazzo soffre di disturbi alimentari solo e se è in evidente sottopeso, con le ossa sporgenti e il viso cianotico, e questo è sicuramente vero per tante persone malate, ma non per tutte. Solo a quel punto, forse, il paziente riceverà le giuste cure mediche e l’attenzione che merita. Ci sono tantissime ragazze, donne e uomini, che soffrono e il loro dolore non si manifesta in nessuna particolare immagine stereotipata. Persone normopeso o leggermente in sovrappeso, sono giudicate “normali” da occhi esterni, ma dentro nascondono un dolore profondissimo».
I numeri sono ingenerosi, è una epidemia nella pandemia da Covid, è per questo che va’ fatta una importante sensibilizzazione sul tema: «I dca sono l’espressione di una interiorità che si concretizza nella violenza verso il corpo. Non possiamo lasciare che il grido disperato di questi corpi resti avvolto nel silenzio. Non possiamo lasciare che queste persone si ritrovino sole nel proprio dolore. È imbarazzante vedere che ci sono persone convinte che l’approccio per curare i dca si debba limitare all’intervento dal punto di vista esclusivamente alimentare. Un disturbo alimentare è un modo per manifestare emozioni, sensazioni e sentimenti. Ma soffrire di dca non significa avere un problema esclusivamente con il cibo, il corpo e il peso. Significa avere un problema emotivo relazionale. Ed è per questo che la cura richiede un approccio multidisciplinare, deve avvenire in strutture di cura in cui collaborino sistematicamente figure professionali diverse (internisti, nutrizionisti, psichiatri, psicologi clinici, dietisti). L’accesso principale al percorso terapeutico dovrebbe essere quello ambulatoriale che svolge compiti di prima accoglienza, consulenza, diagnosi, rinforzo della motivazione ed orientamento dei pazienti».