Omicidio del meccanico Luigi Galletta, il pentito Pasquale Orefice incastra il ras di Capodichino: «Quando morì Emanuele Sibillo, le redini del clan passarono a lui»
Morire per “sfizio”. È successo anche questo nella Napoli dilaniata dall’ultima, sanguinosa faida di Forcella. E ad andarci di mezzo, in quel maledetto 31 luglio 2015, fu l’innocente Luigi Galletta, giovane meccanico impiegato in una motofficina di via Carbonara. Per quell’agguato negli scorsi anni è già stato condannato il babykiller Antonio Napoletano, minorenne all’epoca dei fatti, che avrebbe materialmente fatto fuoco contro la vittima. Adesso il cerchio delle indagini sembra però finalmente vicino alla chiusura, tant’è che pochi giorni fa è stato arrestato anche il ras Ciro Contini “’o nirone”, l’uomo che avrebbe accompagnato “’o nannone” sulla scena. La svolta sul caso è arrivata grazie alle recente dichiarazioni del pentito Tommaso Schisa, ex uomo della mala di Ponticelli e amico di Contini, ma è stato soprattutto il pentito Pasquale Orefice a rivelare alcuni raccapriccianti dettagli in merito alla vicenda.
È il 27 settembre del 2018 quanto Orefice, ex uomo del clan Contini, rende un lungo interrogatorio nel corso del quale accusa “’o nirone”, all’epoca del delitto Galletta reggente del clan Sibillo dei Decumani: «Lo conosco da vent’anni, l’ho visto crescere. Io e i miei fratelli abbiamo negozi di compravendita di mobili usati e lo portavo con me sul camion in occasione delle consegne. Di recente l’ho incontrato una prima volta nell’ottobre-novembre 2015 a Capodichino e stava con i Sibillo. Ero fuori al negozio di mio fratello e lui mi disse di salire dalla finestra dell’abitazione all’epoca al terzo piano del palazzo di fronte al negozio. Nell’abitazione c’erano anche “’o nonno”, Alessandro un ragazzo grassottello di Forcella, e altri ragazzi di cui non ricordo i nomi, con le barbe. Parlammo del più e del meno e lui era un po’ guardingo».
Il collaboratore di giustizia ha poi descritto quello che, a suo dire, era il ruolo del nipote del boss Eduardo “’o romano” all’interno dell’organizzazione: «Anche prima della morte di Emanuele Sibillo, Ciro Contini faceva parte del gruppo di fuoco con loro. Quando morì Emanuele Sibillo e il fratello Pasquale Sibillo era latitante, le redini del clan passarono a lui, al punto che mi chiedeva consigli su come operare con gli affiliati». E ancora con altri, inquietanti dettagli: «Ciro Contini è il nipote di Eduardo Contini e non si può toccare. Mi ha detto in più occasioni che uccide anche per “sfizio”, contrariamente alle regole del clan Contini. Mi ha detto che per i Sibillo ha commesso agguati alla Sanità e una sparatoria a Forcella, senza però specificare l’obiettivo. Mi ha parlato dell’omicidio del meccanico, specificandomi che “per sfizio” si era messo sul motorino ed era andato anche lui a sparare contro il meccanico».
Il pentito Orefice ha poi spiegato quale sarebbe stato il movente dell’agguato: «Questo meccanico era parente di una famiglia che di cognome fa Erba o qualcosa del genere (Buonerba, ndr) che gestiva una piazza di erba e cocaina per i Mazzarella nei vicoli di San Gaetano. Conoscevo di vista questa famiglia quando frequentavo Forcella, dove ho anche abitato. Questo omicidio è stato una punizione contro questa famiglia, perché uno di questa famiglia, per come mi ha detto Contini, sparò a Emanuele Sibillo da un balcone uccidendolo. A sparare contro il meccanico, per come mi ha detto Ciro Contini, furono “’o nannone” e lo stesso Ciro Contini». Una maledetta vendetta trasversale, in cui ad andarci di mezzo fu un innocente che non aveva nulla a che farà con la criminalità organizzata. La sua unica “colpa”, avere una parentela scomoda.