I capannoni da affittare ai commercianti cinesi
di Giancarlo Tommasone
Ci sono anche un dipendente della IV Municipalità di Napoli (geometra impiegato presso gli uffici comunali del Rione Luzzatti), Antonio Rucco, e sua figlia Elisabetta, tra gli indagati dell’inchiesta «Piccola Svizzera» (52 in totale; emesse 23 misure di custodia cautelare in carcere). Secondo la ricostruzione degli inquirenti, i due sono coinvolti, insieme ad altre persone, tra cui Carmine Montescuro (85enne meglio conosciuto come zì Menuzz’) nell’episodio che ha a che fare col tentativo di costringere un imprenditore a vendere un immobile destinato ad uso commerciale, e che si trova nella zona di Sant’Erasmo (il tentativo non porterà ad un’azione concreta). I fatti si riferiscono a un periodo che va da maggio a luglio del 2017.
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Grazie a una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali, si ricostruiscono tutti i passaggi della vicenda. A muoversi per primi, sono quelli del clan Mazzarella che provano a comprare gli spazi per avviare il business, con l’intenzione di affittare «i numerosi negozi ottenuti, a commercianti cinesi e ricavandone enormi profitti» (è riportato nell’ordinanza a firma del gip Alessandra Ferrigno). Ma a un certo punto si registra una «interferenza». «Evidentemente, però, la trattativa – argomentano gli inquirenti – non si concludeva poiché il proprietario dell’immobile, senza una apparente ragione, aveva sensibilmente aumentato la sua richiesta, chiedendo tre milioni di euro, una cifra fuori dalla portata del clan.

Dalle narrazioni che emergevano dalle intercettazione sembra ipotizzabile che, a far lievitare il prezzo della vendita del lotto, fosse stata tale Elisabetta Rucco, la quale avrebbe proposto al proprietario di gestire personalmente il business in questione, dividendo con lui i guadagni». Si tratta di 70 locali, che sarebbero stati affittati successivamente a commercianti di origine cinese per 2mila euro mensili, per singolo spazio (fanno 140mila euro al mese).
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Ascoltando le conversazioni degli indagati, emerge che secondo alcuni di essi, «Elisabetta Rucco sosteneva di essere in grado di ottenere tutte le necessarie autorizzazioni per svolgere tale attività (quella di affittare i locali del capannone, ndr), considerato che suo padre, Antonio Rucco era un dipendente della IV Municipalità di zona; dalle intercettazioni risulta inoltre emergere una pregressa conoscenza del gruppo (guidato da Carmine Montescuro) con Antonio Rucco, che evidentemente li aveva favoriti in passato», annotano ancora i magistrati. In effetti, zì Menuzz’ nel corso delle intercettazioni, afferma di «aver già lavorato con lui (con Rucco, ndr)» e spiega ai suoi sodali come il geometra sia un tipo «pauroso», e quando lo si deve rintracciare, preferisca che prima ci si interfacci con il figlio o la figlia.
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Un giorno vanno a trovarlo in ufficio. In auto restano Montescuro e suo nipote. Quest’ultimo gli chiede: «Se sa che stai tu qua, (Rucco) non scende?». E Montescuro risponde: «No, non scende, qua non si fa vedere proprio, si mette paura … io so, ora mi manda il figlio, ma io ho il numero di telefono del figlio, della figlia». Nino Argano, considerato il braccio destro di zì Menuzz’, parlando del geometra, sottolinea: «Eh, lo zio lo tiene nelle mani (Antonio Rucco, ndr). Gli fa fare il giallo (lo fa tremare dalla paura)». Relativamente alla questione dei capannoni, un giorno Montescuro e Argano incontrano Elisabetta Rucco. «Guagliò, vedi come devi fare, in un modo o in un altro ci dobbiamo mangiare (l’imprenditore), mica vuoi mangiare solo tu», dice Montescuro alla donna, che accenna una risata. Con ciò, argomentano gli inquirenti, il boss terrebbe a precisare che vuole la sua fetta di guadagno. Ed è deciso ad ottenerla, altrimenti, dice ad Elisabetta Rucco: «Io mi mangio a te e a tuo padre».