Più di 3 milioni di giovani che non lavorano e non studiano: colpiti soprattutto donne e Meridione
di Serena Trivelloni
Oggi si sente parlare spesso di Neet (Not in Education, Employment or Training), un esercito «invisibile» di giovani senza lavoro, formazione e istruzione. Un acronimo, quattro lettere, ma infinite storie e sfumature. Secondo i recenti dati ANSA l’Italia presenta il più alto tasso di Neet dell’Ue, circa il 25,1%, che corrisponde a più di 3 milioni (circa 1 giovane su 4) di cui il 57% sono donne e (53%) del Meridione.
Giovani che non sono, come definiti in modo poco elegante da qualcuno, né choosy né bamboccioni, ma ragazzi che si trovano in un limbo di aspettative, indecisioni e speranze. Semplicemente in attesa di qualcuno che indichi loro la strada.
A volte le competenze acquisite tra i banchi di scuola e università non sembrano essere considerate «sufficienti», a volte è complicato conciliare ciò che si cerca/sogna con ciò che viene offerto; tanti corsi di specializzazione, pochi sbocchi lavorativi. Oltre i cervelli in fuga ci sono quindi i «Neet», ragazzi «della terra di mezzo» per i quali accedere a formazione e lavoro sembra essere un lusso che solo i più fortunati ed economicamente sostenuti possono concedersi. Qualunque sia la situazione di questi ragazzi, tutti hanno una caratteristica in comune: aspettano che qualcosa cambi.
La disperazione di Angela
Lo scrive anche Angela, ragazza palermitana di 22 anni, in una lettera aperta al quotidiano Fanpage.it, fotografia esatta di una condizione ormai comune a molti ragazzi: « È logorante vivere qui in Sicilia. Trovare lavoro è impossibile, eppure nella società odierna è obbligatorio vivere per lavorare. Perché non puoi vivere senza lavoro, me lo ricorda spesso mio padre con le sue battute. Abbiamo provato più e più volte a cercarlo, ma tutto quello che troviamo è solo un mare pieno di pesci già morti. Se non hai quegli anni di esperienza richiesti, rimani qui in casa a fare la muffa con dei genitori a cui fai già puzza e che ti guardano con costante disapprovazione, come se avessi scelto volontariamente di fallire. (…) Amo scrivere e vorrei diventasse un lavoro, ma è troppo da chiedere ad un mondo che non vuole ascoltarti».
«Ho scritto perché sono disperata. Sono come una condannata a morte e so già quale sarà la cosa che metterà fine alla mia vita. Sembra che tutto quello che faccio mi porti sempre punto e a capo in un libro che ha tante pagine a disposizione, ma che non posso riempire. Sono bloccata nel mezzo, oscillo ogni tanto, ma solo per finire o nella disperazione o nella rassegnazione. So che la felicità è un ospite che viene a farci visita di rado, ma esiste un modo per incontrarla ogni tanto, per non essere sempre triste?»
La risposta della politica
Le risposte della politica in questi anni, apparentemente sensibile al tema, sembrano essere molte: Garanzia Giovani, l’agenda Giovani 2030, centri per l’impiego, programmi europei, il Piano nazionale pluriennale (2021-2027) sull’inclusione dei giovani con minori opportunità e l’approvazione di nuovi bandi per l’inserimento nel mondo lavorativo.
Recente è la notizia riportata dalle agenzie di stampa secondo cui sono pervenute 318 proposte per i bandi pubblicati dal fondo per la Repubblica Digitale, dedicati ad accrescere le competenze digitali delle donne e dei Neet, per garantire migliori opportunità nel mondo del lavoro. La presidente del comitato di indirizzo strategico del Fondo, Daria Perrotta, auspica «che la sfida del miglioramento delle competenze digitali possa, con particolare riferimento al mondo del lavoro, fornire nuove opportunità e creare un nuovo ecosistema con effetti positivi anche nell’esercizio della cittadinanza attiva».
Tutte iniziative lodevoli, che pongono al momento però più domande che risposte: quante aziende di lavoro e formazione hanno la possibilità di accedere concretamente ai bandi? Quante donne e giovani Neet vengono realmente coinvolti nei programmi e nelle agende istituzionali? Quanti centri per l’impiego sono effettivamente operativi? E soprattutto, quanti Neet che vivono in zone socialmente ed economicamente più povere – e quindi compromesse – hanno la possibilità di venire a conoscenza o di usufruire di queste opportunità?
I ragazzi del sud
Un problema nel problema infatti è quello dei ragazzi del sud, figli di una terra straordinaria ma troppo spesso dimenticata o lasciata nelle mani di associazioni e realtà locali che faticano a farcela da sole. L’inattività per i ragazzi che vivono nelle zone periferiche del nostro Paese, si traduce molto spesso in immobilismo e nel peggiore dei casi nello scegliere strade sbagliate.
Dare valore ai giovani, dare loro un’opportunità e uno spiraglio di futuro significa anche seguirli concretamente nelle loro scelte, informarsi sulle attività dei territori, coordinarsi con le amministrazioni locali e con gli assistenti sociali. Ma in Italia burocrazia e mancanza di sistemi di comunicazione efficaci spesso intrappolano in una rete da cui sembra davvero difficile liberarsi.
È il limite dei numeri, della fattività delle proposte, dei dati che hanno fatto conquistare all’Italia un triste primato. Forse è necessario fermarsi e riflettere sulle cause di uno dei maggiori problemi dell’occupazione, sulle mancanze sociali e istituzionali che hanno segnato profondamente questa generazione. Se l’Italia «non è un Paese per vecchi», che lo sia per i giovani è ancora tutto da dimostrare…