Processo ’Ndrangheta stragista, il pentito Salvatore Pace ha raccontato come si arrivò all’omicidio del rampollo di don Raffaele
di Giancarlo Tommasone
Il maxi consorzio criminale – stando ai verbali del pentito della cosca De Stefano, Antonino Fiume – fu fondato a Milano dalla ’Ndrangheta, tra il 1986 e il 1987; nel cartello confluirono anche gruppi di Cosa nostra siciliana, Sacra corona unita e camorra. Per quanto riguarda l’organizzazione campana, le fazioni che aderirono alla super-cupola furono quelle degli Ascione di Ercolano, e dei Fabbrocino di San Giuseppe Vesuviano. La documentazione relativa alle dichiarazioni di Fiume è finita agli atti del processo sulla ’Ndrangheta Stragista, che si è concluso nelle scorse settimane, con la condanna all’ergastolo per i boss Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone.
Il pactum sceleris / «C’era pure la camorra
nel consorzio criminale con calabresi e corleonesi»
Agli atti sono stati depositati pure i verbali di un altro pentito, Salvatore Pace, che ha ribadito quanto svelato dall’ex ’ndranghetista Fiume. Pace, seppure non fosse formalmente affiliato alla ’Ndrangheta – di sé dice di essere stato un semplice «contrasto onorato» -, operava, fra il finire degli ’80 e gli inizi degli anni ’90, nel Milanese, attivamente con il gruppo di Coco Trovato.
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Il 6 marzo del 2015, il pentito, parlando proprio del «consorzio», fa mettere a verbale: «Come ho accennato in precedenza, dalla alleanza che avevamo per il traffico di droga, si passò a quella per gli omicidi e cioè alla nostra partecipazione – intendo mia e dei mie stretti collaboratori – a guerre di mafia al fianco di Coco Trovato per conquistare il ricco mercato della droga nel Nord Italia. Antonio Papalia, in questo contesto, era al di sopra di Coco Trovato. Papalia era un vero capo. Era pacato. Era calmo. E comandava più di tutti dalle nostre parti». Nell’organizzazione criminale «allargata», afferma Pace, un ruolo importante «lo aveva anche Schettini, che portava gli Ascione e parte della camorra, eravamo tutti insieme».
Lo scambio di favori / «L’ok della ’Ndrangheta
a Fabbrocino per uccidere il figlio di Cutolo»
«Operavamo in Lombardia – continua il racconto del pentito – in modo coordinato e unitario. In effetti eravamo un consorzio di più gruppi criminali, che operava in Lombardia ma aveva ramificazioni in tutta Italia. Vi era un mutuo soccorso fra le diverse organizzazioni che si incontravano anche in riunioni di vertice per pianificare questi scambi di favori». Un summit viene organizzato per decidere la morte del figlio del boss Raffaele Cutolo, Roberto (ammazzato il 19 dicembre del 1990). «Ad esempio, l’uccisione di Roberto Cutolo, voluta da Mario Fabbrocino, come mi spiegò Schettini, venne decisa nel corso di una delicata e importante riunione che si svolse presso un albergo di Limbiate (in Brianza), a cui io non partecipai. Vidi solo arrivare, presso questo albergo, decine di criminali fra cui Antonio Papalia, Jimmi Miano, Mico Paviglianiti, Nino Cuzzola, Carmine De Stefano, forse anche Giuseppe De Stefano, Ciccio Stilo e tanti altri», svela il pentito.