di Luisa Liccardo
Shein, il gigante cinese dell’e-commerce valutato poco più di 100 miliardi di dollari, riproduce le tendenze delle passerelle e dei social media in modo incredibilmente veloce e a basso costo.
Sui social è facile imbattersi in video di utenti che mettono a confronto i capi super economici di Shein con quelli di marche più costose, spesso indistinguibili a prima vista.

Ma cosa c’è dietro l’alta competitività dell’ultra-fast fashion cinese?
Sebbene questo modello di business sia vincente dal punto di vista economico, non è etico. Il modo in cui Shein produce e acquista gli abiti, infatti, è poco sostenibile.
Ogni giorno vengono caricati sulla piattaforma tra i seimila e i diecimila nuovi capi, senza considerare l’enorme quantità di acqua utilizzata per la produzione e l’impatto del trasporto. Inoltre, i capi resi o invenduti vengono spesso bruciati, aumentando ulteriormente l’impatto ambientale.
Ma c’è anche un lato oscuro della produzione di Shein: i lavoratori sono sottoposti a ore interminabili di lavoro e sono pagati meno di 500 euro al mese, con un minimo di 500 capi da produrre ogni giorno. Uno stipendio che rischia di essere decurtato di due terzi in caso di errori da parte del dipendente.
Non è un segreto che lo sfruttamento lavorativo sia endemico nel settore della moda, ma bisogna essere consapevoli delle conseguenze dei nostri acquisti. Prima di cedere all’acquisto compulsivo, è necessario chiedersi qual è il prezzo reale che stiamo pagando per i nostri beni di consumo a basso costo.
Sì, trovare affari irresistibili su Shein è irresistibile, ma dobbiamo chiedere a noi stessi se davvero ne valga la pena. Considerando l’impatto sull’ambiente e sulle persone coinvolte nella produzione, forse dovremmo rivedere le nostre priorità e sostenere marchi etici che trattano equamente i loro dipendenti e rispettano l’ambiente. Solo così potremo cambiare le pratiche dannose dell’industria della moda.