L’allarme lanciato da Stylo24 quasi sei anni fa rimase inascoltato a causa della macchina del fango messa in moto contro il nostro quotidiano
Oggi in molti dovrebbero chiedere scusa alla famiglia del musicista ucciso e alla parte sana della città
di Giancarlo Tommasone
Per raccontare questa storia bisogna partire dalla fine. Non temete, non si tratta di uno spoiler che vi rovinerà la sorpresa sull’epilogo della puntata della vostra fiction preferita, parliamo di realtà e poi, del resto, è una trama drammatica che tutti conosciamo.
La data è quella del 31 agosto 2023, giovedì. La nota diffusa dalla Questura di Napoli recita freddamente: «Alle ore 4.30 odierne in piazza Municipio nei pressi di un pub è stato ferito mortalmente con colpi d’arma da fuoco un giovane classe ’99, incensurato. Sono stati ascoltati i testimoni ed acquisiti i video degli impianti privati di videosorveglianza presenti in zona, dall’esame dei quali è stato possibile individuare il probabile autore, con precedenti per tentato omicidio e truffa, rintracciato nelle prime ore di questa mattina nella zona dei Quartieri Spagnoli. L’autore ha ammesso le sue responsabilità durante l’interrogatorio reso presso gli Uffici della Squadra Mobile».
L’OMICIDIO DI GIOGIÒ E IL KILLER «FINITO NEL POSTER»
Il giovane che ha aperto il fuoco per tre volte, uccidendo il 24enne musicista Giovanbattista Cutolo, Giogiò per familiari, amici e ormai per l’intero Paese, è Luigi B., 17 anni da compiere e già sulle spalle un precedente per tentato omicidio, e come scopriremo qualche riga più in basso, è un pezzo importante della storia, uno dei protagonisti assoluti. Sì, perché, Luigi, come si sente ripetere nello slang cestistico Nba, «è finito nel poster». Solo che qui non si tratta di una schiacciata memorabile da incorniciare, bensì di un gesto omicida, scellerato, barbaro, insensato, gratuito. Ma, in un poster, il sedicenne dei Quartieri Spagnoli, c’era già finito, Stylo24 lo ha infatti rintracciato in uno scatto che pubblicò in esclusiva il 16 gennaio del 2018.
LA BABY GANG DELLA PARROCCHIELLA
Stiamo parlando della foto della baby gang della Parrocchiella. Perché decidemmo di pubblicare quell’immagine? Perché proprio il giorno del summit in Prefettura per individuare una strategia di contrasto al fenomeno delle baby gang, e presenziato dall’allora ministro degli Interni, il dem Marco Minniti? Presto detto: si doveva lanciare l’allarme. E una richiesta di intervento non si lancia a bassa voce, né utilizzando mezze misure, lo si fa gridando, anche con un titolo che piacque per niente a certi circoli esclusivi e buonisti della sinistra, sia di quella cittadina che di quella romana.
Per quale motivo? Perché quell’articolo, quella foto, quel titolo, inchiodavano alle proprie responsabilità le istituzioni locali e nazionali, e gran parte della società civile partenopea; responsabilità relative al silenzio complice, all’immobilismo, al mutismo su un fenomeno che stava inquinando dei bambini, e che rischiava, come si è poi avverato, di trasformarli in rapinatori, ladri, assassini.
Attenzione, torniamo a ripeterlo: da giornalisti avevamo non solo il diritto e il dovere di pubblicare quella foto, ma la necessità morale, che sempre dovrebbe guidare la nostra professione, di cogliere l’essenza del fenomeno che si va ad affrontare, denunciarla pubblicamente e segnalarne il pericolo. Nei fatti non abbiamo mai e poi mai colpevolizzato quegli 8 bambini, e come avremmo potuto farlo, visto che il più grande immortalato in quella foto aveva al massimo 10 anni? Noi abbiamo lanciato soltanto un allarme sociale, che però non solo, chi doveva agire ha ignorato, ma è stato oggetto di una squallida campagna di disinformazione e di delegittimazione di una notizia, accertata, riscontrata, certificata, vera.
CRONISTORIA DI UN’IMMAGINE VIRALE, TUTTI I PROTAGONISTI
Ma prima di approfondirci su questo aspetto della storia, è utile raccontare nel dettaglio quella foto e i loro protagonisti. Dell’assassino di Giogiò abbiamo già detto, nello scatto è il primo in basso da destra, e impugna un manganello. Gli fanno compagnia altri amici della Parrocchiella (Piazzetta Parrocchiella Santa Maria Ognibene, Quartieri Spagnoli).
Uno è rispettivamente figlio e nipote di due componenti del commando che il 26 maggio 2009, nel corso di un raid di camorra, portato a termine davanti alla stazione della Cumana di Montesanto, uccise Petru Birlandeanu, musicista e vittima innocente della criminalità.
Gli altri giovani finiti su quella foto sono tutti imparentati con gruppi malavitosi del centro storico di Napoli.
UGO RUSSO, IL «MARTIRE» DI MONTESANTO
L’AMICIZIA CON I BAMBINI DELLA FOTO
Questa storia si intreccia con quella di Ugo Russo, il 15enne ucciso nella notte del 29 febbraio 2020, nel corso di un tentativo di rapina effettuato ai danni di un carabiniere nella zona di Santa Lucia. Quando apparve la famosa foto (estate 2017), l’allora 12enne Ugo Russo si precipitò a commentare il post, ribadendo il «marchio» della «Parrucchiella».

Non solo, sempre come emerge dai social, il baby rapinatore conosceva e frequentava – e non poteva essere altrimenti, avendo vissuto nello stesso rione – anche l’assassino di Giogiò, tanto è vero che Luigi B., dopo la morte dell’amico, aveva postato una storia inequivocabile: «Mi manchi tantissimo, con te è volato via anche un pezzo di me, rimarrai sempre nel mio cuore fratello».
Il mito di Ugo Russo, diventato «martire» e guida spirituale dei ragazzi della Parrocchiella, è celebrato con profonda osservanza del «totem», anche dal piccolo familiare dei camorristi assassini di Petru.
Dunque, tornando alla foto, rappresenta né più né meno il «manifesto» di quello che poteva essere, che non doveva essere, ma che poi è stato; il prodotto primigenio di qualcosa nata e cresciuta in un perfetto brodo di coltura del crimine. E di un formidabile fertilizzante che ha fatto sviluppare, prima addirittura che diventassero adulti, un rapinatore e un assassino, legati a doppio filo da un destino di morte. A proposito, anche il fratello di Ugo Russo, Alfredo (poco più che maggiorenne) vanta già precedenti di polizia, in particolare un arresto e una condanna a otto mesi (pena sospesa) per aver aggredito le forze dell’ordine, intervenute per dei controlli ai Quartieri Spagnoli.

La foto fu condivisa sui social anche dal fratello del baby-rapinatore
LA MACCHINA DEL FANGO E LA FAKE NEWS DI GIULIO GOLIA
Il pericolo era stato ampiamente annunciato, come la necessità di intervenire per disinnescare una bomba che aspettava soltanto di esplodere. Era appunto questo che abbiamo provato a spiegare con il pezzo pubblicato il 16 gennaio del 2018.
E poi? Cos’è successo? La notizia di Stylo24 fu ripresa dai maggiori network nazionali ed europei, e la cosa avrà messo non poco in difficoltà quella parte dormiente delle istituzioni e della società civile, che aveva permesso che ciò avvenisse sotto i suoi occhi (chiusi, naturalmente).
E allora che fare? Be’, c’è sempre da seguire la strada della disinformazione e della delegittimazione della verità fatta emergere nella nostra inchiesta giornalistica. E servono pochi giorni per far partire l’operazione e mettere in moto la macchina del fango. Il pilota? Giulio Golia, napoletano di nascita, cresciuto a Torre del Greco, ex animatore in villaggi turistici, ex barzellettiere diventato poi inviato, autore e conduttore del programma Mediaset Le Iene.
L’OPERAZIONE DI DEPISTAGGIO E IL RUOLO DI GIULIETTO LA STAMINA
Giulietto La Stamina, come è pure conosciuto nell’ambiente a causa delle fake news prodotte sull’omonimo pseudo trattamento (quello appunto con cellule staminali), si precipita a Napoli pochi giorni dopo l’uscita del nostro articolo, e dopo aver radunato quasi tutti gli otto ragazzini della Parrocchiella, compie il suo lavoro di inquinamento delle prove.
Anzi, fa di più, Golia, la verità la ribalta completamente, il servizio de Le iene, che va in onda a febbraio del 2018, titola: «La vera storia della baby gang più famosa d’Europa» (sic!). Nella fretta di adempiere al proprio compito, Giulietto, senza documentarsi e glissando totalmente sulla natura di denuncia del nostro pezzo, realizza un ritratto finto e mendace rispetto all’atteggiamento che trasuda quella foto.
E va oltre. Noi, attenendoci scrupolosamente alle regole che tutelano i minori, avevamo provveduto ad «oscurare» i volti della banda della Parrocchiella, armata di mazze, tirapugni, pistola e coltello (non importa se in questi due ultimi casi si trattasse di armi giocattolo, il senso è lo stesso), mentre Golia ne mostra il volto senza alcuna cautela, senza alcun riguardo, senza alcuna garanzia. Supportato dalla narrazione dei genitori dei ragazzi, li dipinge come «buoni bambini» (e chi aveva scritto il contrario?), bambini che si intimoriscono perfino per un «eeehhh» gridato dal simpatico Giulio, durante la sua pulcinellesca ricostruzione.
Non si accorge il nostro, o meglio fa finta di non sapere, che si sta rivolgendo a dei bimbi che non riescono ad articolare nemmeno un pensiero in italiano, e che sta interagendo con dei genitori che sono i primi responsabili della strada sbagliata che prenderanno i loro figli, al netto delle scuse e delle bugie che si sapranno inventare, in un clima classico di omertà.
IL PADRE DEL KILLER DI GIOGIÒ MENTRE IMPUGNA UNA PISTOLA
Tra i papà, il più contento per l’intervento «salvifico» di Golia, sapete chi è? Proprio il padre di Luigi B., lo stesso che alcuni giorni dopo l’omicidio di Giogiò avvenuto per mano di suo figlio, si è inginocchiato a chiedere scusa alla famiglia del 24enne.
Si chiama Antonio, meglio conosciuto come Tony Tony, anche lui ha commesso degli «sbagli di gioventù» (ammette), nel servizio de Le iene compare con un cappello scuro di lana ben calcato sulla testa. «L’ho chiuso per una settimana sopra per questa foto… per farlo capire… (ho punito mio figlio chiudendolo in casa per una settimana, ndr)». Ma subito aggiunge: «Purtroppo noi siamo anche vittime delle tv», quasi a scaricare le responsabilità sui media.
Dimentica però di dire che sul proprio profilo Fb ha una foto in cui impugna una pistola (vera? Una replica senza tappo rosso? Forse proprio quella utilizzata nella foto della Parrocchiella? Poco cambia), anticipando di mesi il messaggio criminale contenuto nello scatto in cui sarà immortalato il figlio.

IL REGALO
A Luigi, poi, quando il bambino ha appena 9 anni (siamo a giugno del 2017), mica regala una bici, un giocattolo o magari un pc? Niente di tutto questo: insieme al nonno del pargolo, gli regala uno scooter. E nell’immagine che posta sui social scrive: «… nel nostro piccolo, cerchiamo sempre di darti tutto».

dal padre e dal nonno
all’assassino di Giogiò
GOLIA, HAI PER CASO LA MINIMA IDEA
DELLE PERSONE A CUI HAI DATO VOCE?
Nel frattempo, però, Tony Tony, ringrazia Giulio. Lo fa non solo alla fine del servizio de Le iene, ma anche postando una foto in compagnia dell’inviato Mediaset. Riportiamo il letterale del testo che accompagna l’immagine: «Sono un padre dei ragazzi della bebi gang come voi l’avete descritta io posso capire le persone che anno avuto abbusi i propri figli ma non giudicate la foto venite di persona come a fatto Giulio Golia della iene che lo ringraziamo molto per l’intervista ai nostri figli e se reso conto che sono dei bravi bambini grazie Giulio per quello che ai fatto per i nostri figli ora sapete la realtà grazie ancora Giulio».

Be’, viene da chiedersi: che ha fatto Golia per quei ragazzi? Di buono, assolutamente niente, perché ha spacciato millanterie. Sicuramente però, con quel suo servizio in cui per giunta li mostra al pubblico senza alcuna tutela, consegna loro una sorta di attestato, non già di «buona condotta», né di «capoclasse» ma di appartenenza certificata a una «banda che fa paura» (è la traduzione della frase autografa di presentazione della foto della Parrocchiella).
Un «distintivo» certificato dalla televisione a un gruppo di bambini cresciuti a pane e Gomorra. Ma le false verità del servizio di Golia sono numerose e lui ne è consapevole, tanto è vero che invitato a un confronto pubblico alla Radiazza di Gianni Simioli, con l’allora direttore di Stylo24, Simone Di Meo – che con una serie di editoriali aveva smontato pezzo per pezzo l’ennesima fake news dell’inviato de Le iene (leggi prima puntata, seconda puntata, terza puntata) -, aveva prima dato disponibilità, salvo poi dare forfait nel momento in cui sarebbe dovuto intervenire.
Chissà, forse era già impegnato con le riprese di un film a cui ha preso parte, perché Golia è anche attore, lo sapevate? Titolo della pellicola? L’agenzia dei bugiardi (2019, regia di Volfango De Biasi).
IL FINTO SCOOP DI GOLIA E L’ESULTANZA DELL’ASSESSORE ALLA LEGALITÀ
Assodato, dunque, che quanto confezionato da Golia altro non era che una colossale falsa notizia, resta la responsabilità per una azione, che seppure indirettamente, nei fatti ha forse pesantemente contribuito a indirizzare delle scelte rivelatesi drammatiche.
Un’azione tale di mistificazione della realtà, per la quale si dovrebbe chiedere scusa. A chi? Non certo a noi, non sappiamo cosa farcene.
Piuttosto ai genitori, alla sorella, agli amici di Giogiò, alla parte sana e vittima della città, e perché no, anche ai bambini di quella foto (all’epoca innocenti e incoscienti, torniamo a ribadirlo), che si è lasciati crescere arrivando a sminuire la criticità dell’ambiente proibitivo in cui hanno vissuto, arrivando a sdoganare atteggiamenti criminali, arrivando ad assolvere i loro genitori, ignorando l’allarme sociale che era stato lanciato attraverso quell’articolo di Stylo24.

Alessandra Clemente per ringraziare Giulio Golia
E insieme a Golia, in un mondo, non pretendiamo perfetto, ma quantomeno onesto e teso al giusto, ci sarebbe bisogno anche delle scuse dell’allora assessore comunale di Napoli ai Giovani e alla Legalità, Alessandra Clemente, per giunta figlia di una vittima innocente della criminalità, e nipote di Sandro Ruotolo, giornalista, politico e professionista dell’anticamorra.
Clemente (candidata sindaco alle scorse elezioni amministrative, oggi consigliere comunale) fu tra i primi ad esultare con un post per il servizio tarocco de Le iene. Oggi dovrebbe ammettere le proprie responsabilità morali, politiche, sociali rispetto a quella esultanza.
IPOCRISIA IDEOLOGICA
E poi ci vorrebbero le scuse dei tanti, troppi, che spacciavano e continuano a bollare come fake news e stereotipi ad uso e consumo «dei giornali del Nord», quella che è invece la drammatica realtà che incancrenisce Napoli, nessun quartiere escluso; le scuse dovrebbe farle anche chi si scandalizza e interviene a difesa della città, perché offesa da un insulso personaggio del Grande Fratello o dai trogloditi che inneggiano al Vesuvio, e non si sdegna per la violenza che continua a insanguinare Napoli; le scuse dovrebbero farle anche quegli intellettuali, quegli scrittori, quegli artisti, quei politici, quei professionisti che hanno firmato l’appello per impedire la cancellazione – che poi è avvenuta – del murale con cui si chiedeva verità e giustizia per Ugo Russo.
E non perché verità e giustizia non siano valori da perseguire sempre, ma perché quell’azione è figlia soltanto di ideologica ipocrisia che arriva a tollerare immagini da favela, negando al tempo stesso che alcune zone della città siano diventate delle favelas. Senza dimenticare che il murale di Ugo Russo, rapinatore per il quale si edificò illegalmente anche una «edicola votiva», ha campeggiato per mesi a qualche decina di metri da dove ebbe inizio la storia della gang della Parrocchiella.
IL CERCHIO SI È CHIUSO
La vera storia – noi sì, possiamo permetterci di chiamarla così – come la abbiamo riportata allora e torniamo a raccontarla oggi.
Mai abbiamo temuto di essere smentiti. A differenza di chi quella realtà l’ha sovvertita, magari sentendosi forte per avere alle spalle network imponenti (da milioni di visualizzazioni e contatti) e assidui frequentatori dei salotti del potere. Convinti a torto, che più diffondi la menzogna (e quel servizio de Le iene, completamente falso, è stato visto da milioni di persone), più sarà accettata come vera.
È servito a poco. Perché, a proteggere le nostre, di spalle, c’è sempre stata la verità.