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Il clan Moccia cambia pelle, assedio alle aste giudiziarie: «Vedi che Tonino ti sta cercando»

di Luigi Nicolosi
9 Febbraio 2021
in Notizie di Cronaca, Primo Piano
Tempo di lettura: 2 minuti
(Nelle foto il ras Antonio Lucci e i figli Ferdinando e Ciro)

(Nelle foto il ras Antonio Lucci e i figli Ferdinando e Ciro)

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Minacce e pallottole per costringere gli aggiudicatari a rinunciare ai lotti, ecco le intercettazioni che incastrano il ras Lucci: «Questa faccia è meglio se non te la dimentichi»

di Luigi Nicolosi

Il clan Moccia cambia pelle e, dopo essersi imposto negli ultimi anni nel controllo delle estorsioni, punta dritto alle aste giudiziarie. Il tutto senza rinunciare alla propria temibile firma: minacce, ritorsioni e, all’occorrenza, pallottole. È questo il retroscena che emerge dall’inchiesta che ieri mattina ha portato, con l’esecuzione di sette arresti, alla disarticolazione del gruppo criminale capeggiato da Antonio Lucci, alias “Tonino ’o pazz”. Il 55enne ras originario di Miano, grazie all’aiuto di alcuni sodali e dei figli Ferdinando e Ciro, avrebbe infatti messo nel mirino almeno tre beni immobili, tra ville e lotti di terreni, che il tribunale di Napoli aveva confiscato a uno degli indagati.

La circostanza emerge a chiare lettere dalla lettura dei capi di imputazione contenuti nelle 34 pagine del provvedimento cautelare eseguito ieri dalla Squadra mobile di Napoli e dal commissariato di Afragola. Il procedimento prende piede dagli accertamenti eseguiti sulla turbolenta vendita dei quattro lotti relativi ai beni del debitore esecutato, anch’egli indagato, Vincenzo Rodondini. In particolare, in occasione della seduta del 25 novembre scorso, Antonio Lucci, in qualità di mandante, Ferdinando Lucci, Pasquale D’Auria e Massimo Gazzerro, quali esecutori e compartecipi, si sarebbero recati, senza avere alcun titolo legale per farlo, presso lo studio del delegato del giudice della XIV sezione tribunale di Napoli, il dottor Parlato, in piazzetta di Porto, a Napoli, e stazionavano davanti l’ingresso del palazzo al fine di far desistere gli offerenti, tra cui Massimo Landolfo, dal partecipare alla vendita. Quella che ne scaturì fu un’escalation di tensioni da brividi.

Landolfo, grazie all’intervento della forza pubblica, partecipò ugualmente alla procedura, ma Massimo Gazzerro contattò Rodondini, legittimato a presenziare all’asta in qualità di debitore esecutato, chiedendogli di parlare con Landolfo per comunicargli, a scopo intimidatorio, la presenza di Antonio Lucci e degli altri componenti del gruppo, nonché la volontà di Lucci di parlare con Landolfo. Visto che l’incontro tra le due parti non sarebbe poi mai avvenuto, quella che ne derivò fu una sfilza di intimidazioni a prova di equivoco. Il 25 novembre, dopo l’aggiudicazione del lotto in favore di Landolfo, due parsone avrebbero avvicinato lo zio di quest’ultimo avvertendo: «Zio Tonino lo stava cercando». Il successivo 2 dicembre Gazzerro, D’Auria e un terzo uomo avrebbero quindi avvicinato direttamente Landolfo, il tutto a pochi giorni di distanza dall’esplosione di alcuni colpi di pistola contro il portone del suo palazzo: «Mi hai riconosciuto… non ti dimenticare questa faccia… non ti allontanare… Perché se ti volevo sparare già l’avrei fatto». In sostanza Landolfo avrebbe dovuto rinunciare all’aggiudicazione del bene (una villa a Casoria) o versare in alternativa 20mila euro nelle casse del clan per chiudere la questione. La giustizia stavolta ha però fatto il proprio corso in tempi record.

Tags: antonio lucciaste giudiziariecamorraclan mocciainchiestaretatatribunale di napoli
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