Il pentito Roberto Perrone accusa il militare Mario Cinque e svela il blitz sfumato nel 2010 a Quarto: «Ci informò che l’area era monitorata, “’o Barone” doveva spostarsi in fretta»
di Luigi Nicolosi
L’ombra del carabiniere infedele si allunga sulla latitanza del super boss Giuseppe Polverino. Il capo indiscusso della camorra di Marano, stando a quanto sostenuto dal pentito Roberto Perrone, ex uomo di punta del clan Nuvoletta, sarebbe stato a un passo dall’arresto già nel 2010, ma grazie a un controllo “soft” operato dal militare dell’Arma Mario Cinque il possibile blitz non avrebbe mai preso effettivamente corpo. All’epoca “’o Barone” era già ricercato da quattro anni e dopo quell’episodio sarebbero stati necessari altri due anni prima di arrivare alla sua cattura. Il boss venne infatti stanato soltanto nel 2012 in Spagna, in località Jerez de la Frontera.
È un retroscena inedito quanto inquietante, quello riportato nell’ordinanza di custodia cautelare che poche settimane fa ha portato dietro le sbarre il carabiniere Cinque, accusato di aver favorito, in cambio di una lunga serie di piaceri, il clan Cutolo del rione Traiano e, in particolare, l’allora ras Gennaro Carra, oggi collaboratore di giustizia. Il militare in servizio alla compagnia di Bagnoli avrebbe però avuto una serie di strettissimi rapporti ancora con la camorra maranese e la circostanza è stata messa a verbale da Roberto Perrone nel corso del lungo interrogatorio al quale è stato sottoposto il 4 novembre del 2011: «Verso la fine del 2010, quando Peppe Polverino stava trascorrendo la sua latitanza a Quarto nella zona di via Orlando, successe che mi incontrai con Giuseppe Simioli detto “Petruocio”, in via Pozzillo, proprio nei pressi di via Orlando. Simioli giunse sul posto con Pataniello che era andato a prenderlo a Marano. Dopo l’incontro, mentre stavamo andando via, vidi arrivare con un’auto di servizio Mario Cinque con un collega che videro Simioli e Pataniello e li fermarono nei pressi del lavaggio Carandente». Inizia così il racconto di quello che poteva essere un clamoroso blitz ma che si è risolto invece in un nulla di fatto.
La deposizione dell’ex ras del clan Nuvoletta prosegue infatti con dovizia di particolari: «Dopo il controllo – ha spiegato il pentito – venne da me Pataniello che mi disse che Cinque al momento del controllo gli aveva detto a bassa voce, senza farsi sentire dal collega, che se ne doveva andare da lì perché quella era una “zona minata”. In realtà io ero già un po’ un preoccupato perché avevo visto il movimento di macchine dei carabinieri e dopo questo episodio ritenni opportuno che Peppe Polverino andasse via da quella zona. Dopo questo controllo mi recai da Guariglia (Roberto, colletto bianco che fece da tramite tra il clan e il militare, ndr) e capii che lui era già informato del controllo effettuato da Cinque, tant’è vero che mi disse subito “ti è piaciuto il pezzo che ha fatto Cinque?” e mi disse che Mario Cinque gli aveva fatto capire che quella era una zona calda e che era monitorata dal No dei carabinieri di Napoli e che pertanto se c’era qualcuno appoggiato lì, facendo un ovvio riferimento a Peppe Polverino, era opportuno che si allontanasse in fretta». Al momento non è dato sapere quali fossero le informazioni effettivamente in possesso del carabiniere infedele in ordine alla latitanza del boss, ma sta di fatto che da quel giorno alla cattura del “Barone” sarebbero poi trascorsi quasi altri due lunghi anni.