Un collaboratore di giustizia racconta i retroscena del clan dei Casalesi
Carcere o meno, le «sentenze» di morte dovevano essere decretate lo stesso, soprattutto se si trattava di una vendetta. Il boss dei Casalesi Francesco Schiavone detto «Sandokan» non si fermava davanti a nulla. Un particolare che emerge dai verbali degli interrogatori del collaboratore di giustizia Raffaele Ferrara, una volta di area bidognettiana, che tuttavia aveva frequenti rapporti con la famiglia Schiavone.
Il pentito spiega l’accaduto durante il racconto, agli inquirenti, dell’omicidio del fratello di P. e la sua organizzazione nel periodo in cui «“Sandokan” era detenuto in quanto era stato arrestato». Del resto «arrestato o meno – continua Ferrara -, ciò non cambiava molto la cosa, in quanto, anche dal carcere, “Sandokan” ben poteva trasmettere all’esterno, agli altri affiliati, tramite colloqui con familiari o in altro modo, le sue decisioni e, in particolare, nel caso in questione, che bisognava rispondere, a tutti i costi, in modo esemplare, all’omicidio del dentista».
«Francesco Bidognetti – si legge ancora nel verbale d’interrogatorio – dicendo che “Sandokan”, dal carcere, voleva a tutti i costi che venisse consumata questa vendetta a seguito dell’omicidio dello Schiavone, dentista. Continuò, Francesco Bidognetti, dicendo che, ricevuto questo messaggio di “Sandokan” dal carcere (ritengo, verosimilmente, attraverso Walter Schiavone) che insisteva per la risposta».
Una vendetta che fu decisa nel corso di «varie riunioni al vertice dell’organizzazione criminale ed, in particolare, fra lui, Schiavone Francesco di Luigi detto “Cicciariello”, Schiavone Walter, De Simone Dario e altri che adesso non ricordo». Nel corso di queste riunioni «fu deciso che la vendetta trasversale doveva cadere sul fratello di P., di cui non ricordo il nome, ma che, comunque, faceva il venditore di bibite ed andava girando con un camion carico delle stesse nell’agro aversano».