INCHIESTA DOMINO BIS Il dialogo intercettato tra i ras del clan D’Alessandro, Sergio Mosca e Antonio Rossetti
Il vecchio adagio «vai a Roma e perdi la poltrona» è valido in qualsiasi contesto. Capita di poterlo applicare pure ai clan di camorra, succede ad esempio, che i reggenti di un sodalizio criminale, in assenza di un «socio» si spartiscano il provento di una estorsione, senza dire alcunché al terzo uomo. E’ quanto emerge dalla intercettazione di un dialogo tra i boss Sergio Mosca (consuocero del defunto padrino Michele D’Alessandro) e Antonio Rossetti, ritenuti ai vertici, insieme a Giovanni D’Alessandro (nipote di Michele) della cosca di Scanzano, di Castellammare di Stabia.
La conversazione captata è agli atti dell’inchiesta Domino bis, che nelle scorse settimane ha portato all’arresto di 16 persone (15 in carcere, una ai domiciliari). E’ il 19 ottobre del 2017, le parole di Mosca e Rossetti finiscono sul «nastro» degli 007 dell’Antimafia, grazie alla microspia installata a bordo di una Ford Fiesta. I due discutono di una estorsione che hanno incamerato, tenendo all’oscuro Giovanni D’Alessandro. Quest’ultimo (a cui si riferiscono chiamandolo il chiattone, il grassone, ndr), nel periodo in cui si è formalizzato l’affare criminale, era in vacanza con la famiglia, quindi non era praticamente informato della circostanza.
Il provento della estorsione ammonta a mille euro. «Ho trovato il chiattone stamattina», racconta Mosca. «Ah, è venuto?», si informa Rossetti. «(Stava) dentro l’auto, così, tutto abbronzato», gli viene spiegato. Tale affermazione da parte di Mosca, innesca Rossetti: «Va fa mmocca (traducibile con una espressione del tipo: gli sta bene, ndr). Abbiamo fatto bene a prenderci i mille euro. Non ci rompesse il cazzo». I mille euro, sono appunto quelli dell’estorsione, di cui Giovanni D’Alessandro non è stato messo a parte.