LA STORIA DELLA CAMORRA Il summit in una cella di Poggioreale per cercare di ricomporre la frattura tra clan Di Lauro e Scissionisti
Di recente, il boss Antonio Elefante – storico elemento di vertice del clan D’Alessandro di Castellammare di Stabia – è tornato a far parlare di sé. Perché un pronunciamento della Corte di Cassazione potrebbe portarlo in libertà tra meno di un anno, con un maxi «abbuono» di quasi sei lustri. Stando, infatti, alla sua attuale situazione giudiziaria – sconta tre condanne definitive -, dovrebbe lasciare il carcere nel 2050.
Nei giorni scorsi, però, gli ermellini – accogliendo il ricorso straordinario del legale difensore di Elefante – hanno annullato con rinvio, la sentenza con la quale non era stata riconosciuta al boss, la continuazione in relazione a due diversi pronunciamenti. Il computo della pena è quindi da ricalcolare, con un altro processo. Ritenuto dagli inquirenti di notevole spessore criminale (tra l’altro è suocero del presunto capoclan libero, Vincenzo D’Alessandro), Elefante nel corso degli anni è stato tirato in ballo anche da una folta schiera di collaboratori di giustizia, per questioni non solo stabiesi.
A fare il suo nome, ad esempio, è l’ex boss del Rione Sanità, Michelangelo Mazza. Quest’ultimo, per un periodo è stato in carcere con due affiliati agli Scissionisti di Secondigliano, e rende dichiarazioni su un incontro, avvenuto in una cella (la numero 71) a Poggioreale. Al «summit» avvenuto durante la «socialità» – afferma il pentito – avrebbe partecipato anche Elefante, in veste di mediatore, per cercare di ricomporre la frattura venutasi a creare tra clan Di Lauro e «separatisti», e Massimiliano Cafasso (esponente degli Scissionisti).
Il messaggio di Cosimo Di Lauro:
dite a mio padre che il suo tempo è finito
Mazza, a quel tempo (siamo nel 2007), divide la cella, oltre che con Elefante, anche con Roberto Manganiello, che indica come nipote di Gennaro Mckay Marino, e Salvatore Chiariello. «Voglio subito precisare che io non conoscevo Cafasso, ma notai che Chiariello lo accolse in cella con particolare rispetto. Con noi era detenuto in quel periodo anche Antonio Elefante, fu proprio lui a introdurre il discorso della faida in atto, avendo, via D’Alessandro, buoni rapporti con il clan Di Lauro».
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Dopo aver rotto il ghiaccio, rivolgendosi a Cafasso, disse che, rispetto alla faida, «sarebbe stato forse il caso di trovare un’intesa, in quanto vi erano stati torti sia da una parte che dall’altra». «Zio Antonio (Elefante, ndr) – continua Mazza – disse che dietro la faida di Scampia e Secondigliano, vi era anche una regia occulta, ossia gli interessi di altre famiglie malavitose della zona».
A un certo punto, però, si registrano momenti di forte tensione. «Elefante – fa mettere a verbale il collaboratore di giustizia – proseguendo nel suo ragionamento, spese anche delle buone parole per Cosimo Di Lauro, al che Cafasso reagì con forza, affermando che le cose non stavano proprio come si stava dicendo, in quanto Cosimo aveva dato inizio alla faida, con l’omicidio di tale Giggino ’o luongo (…) e che Cosimo aveva fatto uccidere anche persone che c’entravano niente (non coinvolte, cioè, nelle dinamiche criminali, ndr)».