La ramanzina del capoclan per le modalità sbagliate nell’imporre una estorsione
Alcuni affiliati di un potente clan del Vesuviano hanno una scadenza, che non può proprio essere procrastinata. «E’ la scadenza della rata», spiega un malavitoso al suo sodale. I due stanno discutendo – la conversazione è intercettata dagli 007 dell’Antimafia – circa una estorsione, condotta secondo modalità che non sono piaciute al boss, che in seguito a questa vicenda ha organizzato un summit chiarificatore con i suoi più stretti collaboratori.
Per versare la tranche di denaro destinata alla cassa comune dell’organizzazione criminale, gli emissari della cosca non hanno risparmiato le maniere forti al commerciante da taglieggiare. «Uno non è che lo voleva maltrattare – afferma il camorrista intercettato -, ma ci stava la cosa da pagare e non c’era più tempo». La notizia era arrivata subito alle orecchie del boss, estremamente contrariato per quanto accaduto. Anche perché il soggetto in questione, «è uno che ha sempre pagato». L’atteggiamento del reggente del clan non è dettato certo da magnanimità, né tanto meno da improvvisa opposizione ad attività illecite.
Teme piuttosto che il commerciante – che tra l’altro, in precedenza ha sempre versato la «quota della tranquillità» -, affrontato con violenza dai suoi uomini, possa rivolgersi alle forze dell’ordine e denunciare quanto subìto. Ma cosa ha innescato la risposta del clan, risposta condita con minacce e intimidazioni all’indirizzo della vittima? Il fatto di non essersi presentato agli appuntamenti con i malavitosi, che cercavano di parlargli per imporgli il pizzo. Qualche settimana dopo le intimidazioni subite, il commerciante ha poi deciso di denunciare i suoi estorsori.