L’ex ras del clan Sautto vuota il sacco e tira in ballo i capizona delle “case a mattoni”: «Anche loro erano nostri “affiliati”. Domenico gestiva due piazze e vendeva in motorino»
di Luigi Nicolosi
Un sistema verticistico e accentratore, con un unico gruppo criminale al comando e, a scalare, una serie di “cellule” ramificate sul territorio. È questo lo schema che ha consentito al clan Sautto di Caivano di diventare il fornitore indiscusso di droga all’interno del Parco Verde e alla satellite famiglia Bervicato di imporsi come piazza, oltre che monopolista di un’intera palazzina, il fabbricato delle cosiddetta “case a mattoni”, lo stesso stabile dal qualche alcuni anni fa precipitò e morì la piccola Fortuna Loffredo. Il retroscena emerge dagli atti dell’ultima inchiesta che sta cercando di fare luce, oltre che sui loschi affari del gruppo Bervicato, anche sull’omicidio del giovane Antonio Natale, assassinato a colpi di pistola e trovato cadavere il 18 ottobre scorso tra le campagne di Caivano.
Sul punto, ferma restando la presunzione di non colpevolezza fino all’eventuale condanna definitiva, appaiono illuminanti le recentissime rivelazioni affidate agli inquirenti dalla Dda di Napoli da Vincenzo Iuorio, ex narcotrafficante del clan Sautto da pochi mesi passato tra le fila dei collaboratori di giustizia. Interrogato il 10 novembre scorso, circa un mese dopo il delitto Natale, Iuorio ha messo a verbale una lunga serie di chiarimenti: «Il gruppo Bervicato era composto dai componenti di questa famiglia che gestivano la piazza di spaccio al Parco Verde di Caivano. In particolare, alla pari di tutte le altre piazze di spaccio venivano gestite in modo tale che dovevano acquistare la sostanza solo da noi, altrimenti non potevano spacciare a Caivano. In tal modo noi clan Sautto guadagnavamo perché vendevamo in esclusiva a tutte le piazze di Caivano».
Il collaboratore di giustizia ha poi insistito descrivendo la natura del rapporto con i Bervicato: «Il termine che io adopero con riferimento ai Bervicato quali “affiliati” riguarda tutti i gestori di piazze di spaccio di Caivano, nel senso che ogni piazza era da considerarsi “affiliata” al clan perché si riforniva in esclusiva da noi e ci consentiva di guadagnare. La piazza che non si adeguava e che quindi non si affiliava non poteva essere gestita a Caivano perché noi ne dovevamo avere il controllo esclusivo. Infatti al di fuori di questo sistema non potevano lavorare e se lo facevano di nascosto dovevano essere molto bravi, perché altrimenti li avremmo puniti. Conosco i fratelli Bervicato quali spacciatori, non conosco i loro complici nella gestione delle piazze di spaccio. Non sono mai salito a casa Chiappariello dove spacciava con i suoi. Ricordo che tale immobile si trova nel quartiere denominato “case a mattoni”, dove è morta la bambina Fortuna».
La deposizione di Vincenzo Iuorio si conclude con un passaggio dedicato a Domenico Bervicato, il 20enne (finora unico) indagato formalmente per l’omicidio di Antonio Natale: «Riconosco Domenico Bervicato quale gestore di due piazze di spaccio di cocaina, una dietro alla Masseria a Cardito in maniera stabile, mentre a Caivano spacciava con il motorino. Per Caivano intendo che Domenico cedeva droga agli acquirenti sulla strada da Caivano ad Acerra e alla strada che porta a Pascarola, nonché la strada che porta a Orta di Atella. Mi ricordo che aveva un motorino Benelli». Le indagini sul giallo di Caivano, verbale dopo verbale, vanno dunque ancora avanti in attesa che i killer del povero Antonio Natale, ritenuto uno dei pusher al soldo dei Bervicato, vengano finalmente individuati una volta per tutte.