Il cognato del boss Ciro Rinaldi scagionato dal Riesame, inchiesta in bilico: a nulla sono valse le ricostruzioni fornite dai collaboratori di giustizia Umberto D’Amico, Luigi Gallo e Tommaso Schisa
di Luigi Nicolosi
Ben tre collaboratori di giustizia non sono bastati a inchiodare il ras di San Giovanni a Teduccio, Ciro Grassia, all’accusa di associazione mafiosa. Uomo di massima fiducia, nonché cognato, del capoclan ergastolano Ciro Rinaldi “mauè”, il 57enne è stato “graziato” dal tribunale del Riesame, che a sorpresa ha deciso di annullare l’ordinanza di custodia cautelare in carcere dalla quale era stato raggiunto, insieme ad altre trentasei persone, lo scorso 17 maggio.
Sulla testa di Ciro Grassia pendeva sulla carta un’imputazione di assoluta consistenza: essere una delle figure di vertice del cartello camorristico Rinaldi-Reale-Formicola. In sede di Riesame si sono però rivelate vincenti le argomentazioni portate avanti in aula dal suo difensore, l’avvocato Nicola Pomponio, il quale ha sostenuto e dimostrato il carattere di genericità delle dichiarazioni rese dai pentiti Luigi Gallo, Tommaso Schisa e, ultimo in ordine di tempo ma non certo di importanza, Umberto D’Amico “’o lione”. Tutti e tre collocavano infatti Grassia nel ponte di comando della temibile cosca di Napoli Est, ma nessuno di loro è stato fin qui in grado di spiegare con quali ruoli e incarichi. La difesa ha inoltre contestato la stessa esistenza di un clan a tre teste, come ipotizzato invece dagli inquirenti della Dda partenopea.
Preso atto della fragilità del quadro indiziario, i giudici della dodicesima sezione del Riesame non hanno dunque potuto far altro che annullare il provvedimento di custodia cautelare. Il cognato del boss Rinaldi resta a questo punto detenuto solo per una condanna definitiva a 5 anni per estorsione. Per l’ipotesi di una scarcerazione diventa a questo punto tutt’altro che remota. Ieri era stato invece il turno di un altro pezzo da novanta della malavita di San Giovanni a Teduccio, il capopiazza Salvatore Nurcaro “’o cacciuttolo”, obiettivo dell’agguato in cui rimase ferita la piccola Noemi, il quale è stato “scarcerato” in quanto già sotto processo con lo stesso materiale indiziario riportato nell’ordinanza eseguita a metà dello scorso mese. Un’inchiesta, quella che ha portato a quasi quaranta arresti, che udienza dopo udienza sembra però sempre più in bilico.