La circostanza della «rata» da versare al clan emerge dalla conversazione intercettata di due camorristi
Nello slang – più o meno criptico – della malavita, la «rata» sta a indicare la quota che ogni appartenente al clan, dall’affiliato al boss, è tenuto a versare nella cassa comune del’organizzazione. Per far fronte ai soldi dell’«iscrizione» alla camorra, due sodali dei Fabbrocino architettano una estorsione ai danni di un imprenditore del Nolano. Il denaro ricavato dall’attività illecita, però, basterà appena a coprire il corrispettivo della «rata», ragion per cui i boss non potranno portare la famiglia in vacanza.
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La circostanza emerge da una conversazione intercettata dagli 007 dell’Antimafia, e finisce in una informativa di polizia giudiziaria prodotta sul sodalizio attivo a San Giuseppe Vesuviano e in altri comuni dell’hinterland partenopeo. «Servivano i soldi della rata, che non avevamo ancora mandato», afferma uno dei camorristi, che giustifica l’azione illecita compiuta.
L’informativa di polizia giudiziaria
«Il clan Fabbrocino – spiegano gli investigatori nell’informativa – impiega molta cura nella tenuta di questo fondo comune, la cui corretta e oculata gestione garantisce la compattezza del clan e scongiura il pericolo di improvvisi tradimenti. La rata serve a rimpinguare la cassa comune del clan, cui attingere per far fronte alle esigenza degli affiliati in difficoltà, primi fra tutti quelli detenuti».
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C’è chi, come i due sodali intercettati, cerca di non sgarrare con il dovuto, e – si evince sempre dal dialogo captato – pur di garantire il versamento nel periodo estivo, sono costretti a rinunciare alle vacanze al mare. Ma c’è pure chi non rispetta le regole: è il caso di un parente del reggente della cosca. I sodali, riportando le confidenze fatte loro dal vertice dell’organizzazione, sottolineano come ogniqualvolta il capoclan vada in carcere, il parente gli arrechi tra i 50 e i 60mila euro di danni, evidentemente perché si intasca tutti i proventi delle estorsioni.