Ha qualche problemino di salute, la sanità campana. E non solo per i livelli di assistenza che la vedono fanalino di coda tra le regioni commissariate. Le inchieste degli ultimi mesi hanno radiografato un sistema di malaffare e di collusioni da assalto alla diligenza. Il bottino d’altronde c’è, ed è di tutto rispetto: oltre il cinquanta per cento del bilancio regionale. Roba da dieci miliardi di euro all’anno. Ci sono poi gli scandali (assunzioni pilotate, favori incrociati, nepotismo) e le guerre politiche che aggravano la situazione e fanno sprofondare nello sconforto i cittadini e quelli che credono veramente nel giuramento di Ippocrate.

Negli ospedali del capoluogo le forze dell’ordine sono ormai una presenza fissa. Al «Loreto Mare», i carabinieri hanno scoperto un centinaio di «furbetti del cartellino» che timbravano e uscivano a passeggio o a prendere lezioni di tennis. Per impedire che si bloccasse il funzionamento dell’intera struttura, il gip ha ordinato a cinquanta indagati – medici, operatori socio-sanitari, infermieri – di lasciare i domiciliari e andare al lavoro. La legge del contrappasso degli scansafatiche. Si è scoperto pure che, tra le barelle, c’era un florido mercato di lastre radiologiche vendute dai 150 ai 300 euro. Merce preziosa per truffare le assicurazioni presentando referti falsi per incidenti auto.

Lo stesso business che alcuni camici bianchi avevano allestito nel «Cardarelli», il presidio sanitario più grande del Meridione. Finora sono stati riscontrati seicento esami ortopedici «fantasma» passati furtivamente di mano in mano, come bustine di cocaina, nelle corsie. Nulla però in confronto alle 500mila analisi addebitate al servizio sanitario ma mai effettuate. Attraverso un programmino, tre infermieri e un medico in pensione inserivano nel software aziendale prescrizioni inesistenti per lucrare sulle fatture. Storie che lasciano increduli. Come quella dell’anestesista sospeso perché sorpreso a rubare analgesici e oppioidi da rivendere ai drogati. O come quell’altra del piccolo padroncino di Casoria, Raffaele M. di 63 anni, che si suicida dopo essere stato sentito dalla Finanza sui bandi di gara vinti dall’immobiliarista Alfredo Romeo per le pulizie nel nosocomio.

È attorno agli appalti però che si fanno i grandi affari. Al «Santobono-Pausilipon» – racconta un imprenditore pentito a verbale – vige la regola del 4 per cento. Per vincere una gara per la manutenzione o la vigilanza, bisogna pagare il pizzo ai dirigenti e ai loro faccendieri. Tra gli indagati in questo filone c’è l’avvocato Guglielmo Manna, l’ex marito del giudice Anna Scognamiglio coinvolta nel processo sulla sentenza a favore del governatore Vincenzo De Luca contro la legge Severino. Sei mesi c’ha messo ‘o governatore per diventare commissario regionale alla Sanità, nonostante il “niet” del ministro. Ha pagato, De Luca, secondo alcuni, lo scotto dell’inchiesta a carico del suo consigliere al ramo, Enrico Coscioni. Accusato di aver fatto pressione sui manager per convincerli a dimettersi in vista dello spoil system deluchiano («che stai a fare… tra tre giorni ti mandiamo via – avrebbe detto ai dirigenti delle Asl – nessuno ti vuole…»).
Tra le «vittime» avvicinate da Coscioni
c’è anche la commissaria dell’Asl Na2 Agnese Iovino. A sua volta indagata per aver agevolato due contratti di collaborazione con la struttura sanitaria per sua figlia
e per la futura nuora:
Un cane che si morde la coda.
Tutti tengono famiglia, del resto. Al «Pascale», sono finiti nei guai il dg dell’Asl Na1 Elia Abbondante, il primario oncologo Francesco Izzo (nipote dell’ex ministro della Salute Francesco De Lorenzo) e la moglie Giulia Di Capua per corruzione e turbativa d’asta. L’istituto per la cura dei tumori acquistava a prezzi gonfiati beni e apparecchiature da un’azienda riconducibile alla donna.

Un danno da due milioni di euro. Per un ago per la cura delle neoplasie epatiche, che costava 925 euro più Iva, il «Pascale» doveva sborsare 2440 euro più Iva. E non è finita: i carabinieri sono tornati negli uffici per indagare sui rapporti strani con una clinica privata e sui tempi di attesa per le operazioni di cancro al seno. Presunti favoritismi anche all’Asl Na1 – la più grande d’Europa – dove la dirigente Loredana Di Vico è sott’inchiesta per aver favorito aziende amiche e in un caso l’impresa del compagno come fittizia «fornitrice esclusiva». I pm indagano su 19 delibere di acquisto di apparecchiature. Sui sospetti incroci lavorativo-familiari ha presentato un dossier in procura il consigliere regionale dei Verdi Francesco Borrelli.

Un attento screening delle piante organiche di tre strutture sanitarie ha permesso di accertare che, sui primi cento lavoratori passati ai raggi X, ben settanta hanno rapporti di parentela con altri dipendenti o con rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil. Un sindacalista dell’ospedale di Caserta per esempio si trova come colleghi il figlio, la figlia, il fidanzato di lei e l’ex compagna del genero. «Beautiful» in corsia. Il trucchetto per aggirare i divieti è nelle agenzie interinali che selezionano i lavoratori a tempo determinato con ampio margine di discrezione. Infilarci qualche nome gradito – è il sospetto – non è poi così difficile.
(1 – continua)