Secondo i magistrati, furono fondamentali per far sì che la mafia calabrese accettasse l’invito di Cosa nostra ad attaccare lo Stato
La strategia terroristica delle organizzazioni mafiose si esaurisce con gli attentati del gennaio 1994. Nel progetto ordito da Cosa nostra, entrano a partire dall’autunno del 1993 – con la decisione di dare un contributo concreto – anche i «calabresi». La circostanza emerge dagli atti del processo ’Ndrangheta stragista (conclusosi a luglio scorso con la condanna all’ergastolo dei boss Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone).
Stagione delle stragi, la richiesta
di collaborazione a ‘Ndrangheta e camorra
La richiesta era arrivata dai «siciliani» già nel 1992, nel periodo degli attentati di Capaci e di Via D’Amelio, contestualmente la mafia aveva chiesto appoggio anche alla camorra, attraverso Matteo Messina Denaro, che – svela il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca – aveva ricevuto il mandato da parte di Totò Riina, di provare a coinvolgere i Nuvoletta di Marano nel piano di attacco allo Stato. La ’Ndrangheta decide di aderire al progetto vincendo non poche resistenze.
Il piano / Anche la camorra fu coinvolta
nel progetto separatista di Licio Gelli
I magistrati sottolineano che «che quella terroristica fosse la seconda gamba su cui doveva camminare il progetto mafioso di condizionamento dell’evoluzione politica del Paese riguardo, in particolare, agli assetti dei rapporti tra Stato e mafie. E tuttavia, ferma restando la piena adesione alle finalità che il progetto stragista perseguiva (il condizionamento dello Stato ed il ribaltamento del quadro politico) la ’Ndrangheta, tradizionalmente, e così era anche all’epoca – diversamente da Cosa nostra corleonese, la cui storia è da sempre costellata del ricorso all’attacco diretto allo Stato quando ritenuto necessario – caratterizzava, in tale ambito, il suo agire per l’estrema prudenza, per il ricorso più alla collusione che al conflitto e alla contrapposizione».
Il pactum sceleris / «C’era pure la camorra
nel consorzio criminale con calabresi e corleonesi»
La ’Ndrangheta, dunque, è più cauta e storicamente, agisce nell’ombra, senza esporsi. Questo tradizionale modo di agire, all’epoca, però, dovette fare i conti con tre diversi fattori. Il primo era rappresentato dall’eccezionalità del contesto storico; «i cambiamenti politici in atto, la fine di un’era – sottolineano gli inquirenti – sembravano imporre scelte rapide ed incisive». La seconda contro-spinta era costituita dalla «posizione stragista-oltranzista, assunta da un alleato così importante e strategico come Cosa nostra, a cui era difficile dire di no». Infine, ma non per ultimo, un fattore, fondamentale. Si tratta del «favore con cui certi settori deviati della massoneria che fa capo a Licio Gelli (intimamente legati alla ’Ndrangheta) e degli apparati di sicurezza, guardavano al caos generato dalla strategia stragista, sorta di incubatrice attraverso cui intendevano cambiare tutto per non cambiare nulla e cioè, per quanto li riguardava, per mantenere una posizione di potere che, essendosi consolidata fino alla caduta del muro, non volevano esposta ai grandi mutamenti epocali che si stavano profilando».