LA STORIA DELLA CAMORRA Le parole riferite a Cosimo Di Lauro da un esponente dei Lo Russo
Alcuni giorni dopo l’omicidio di Fulvio Montanino – avvenuto il 28 ottobre del 2004, delitto che di fatto dà la stura alla prima faida di Scampia e Secondigliano -, Cosimo Di Lauro (investito della guida del clan direttamente dal padre Paolo, costretto alla latitanza) chiede a un esponente di vertice dei Lo Russo, di fare da intermediario con due capi degli Scissionisti, vale a dire Gennaro Marino e Arcangelo Abete. A rendicontare dello svolgimento dell’incontro, per averlo saputo da Cosimo, è il collaboratore di giustizia Antonio Pica, nipote degli ex boss Maurizio e Tommaso Prestieri.
Il verbale di interrogatorio è del 15 gennaio del 2009. «(L’affiliato ai Lo Russo) incontrò Marino e Abete presso un appartamento in cui i due si appoggiavano. E chiese loro il motivo per il quale fu ucciso Montanino, che a suo parere era un personaggio del clan Di Lauro che meritava considerazione e rispetto».
«Ciò che è rimasto maggiormente impresso nella mia mente – racconta ai pubblici ministeri che lo interrogano, Antonio Pica – è la risposta che Cosimo ci riferì come data all’affiliato ai Lo Russo, da Arcangelo Abete». Infatti, rendiconta il collaboratore di giustizia: «Abete disse che, se avesse potuto, avrebbe ucciso Fulvio Montanino altre cento volte, con ciò, non solo rivendicando l’omicidio, ma anche rappresentando l’assoluta opportunità che lo stesso fosse compiuto».
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In effetti, Montanino era un obiettivo di primaria importanza, perché era l’uomo di fiducia di Cosimo Di Lauro. Quale fu la reazione di Cosimo Di Lauro, quando apprese chi aveva ucciso Montanino? Viene chiesto a Pica. E quest’ultimo risponde: «Cosimo era visibilmente alterato e manifestò propositi di vendetta, anche se già in precedenza, ci aveva chiesto (sia ad Antonio Pica che a suo cugino Antonio Prestieri) di uccidere la moglie di Arcangelo Abete». Quest’ultima richiesta non ebbe mai seguito.