di Giancarlo Tommasone
Oltre trent’anni di carriera, un pubblico che lo ha sempre appoggiato, anche quando il «cuore nero» dell’underground made in Naples ha effettuato una scelta di campo importante, che ha rivoluzionato il suo sound. Stiamo parlando di Franco Ricciardi, tra gli artisti più apprezzati della scena musicale partenopea e non. L’incontro fatale è quello con il produttore Rosario Castagnola, in arte D-Ross, che contribuirà in maniera decisiva e costante alla sue definitiva affermazione anche nel panorama nazionale. Abbiamo contattato Ricciardi in occasione dell’uscita del suo ultimo video, «Femmena Bugiarda» («Blu», 2017), in cui duetta con Guè Pequeno. Un omaggio, l’ennesimo, alla città di Napoli.

Nel corso degli anni sei diventato un punto di riferimento per i giovani e per gli artisti della nostra città. Cosa ti sentiresti di dire a chi si approccia al mondo della musica?
La musica è come un credo. Una fede verso cui dobbiamo rivolgere tutte le energie, portando avanti la nostra idea e la nostra identità, senza farci influenzare dalla massa e dal pensiero unico. La musica non è fatta principalmente di numeri, di classifiche o di tutto quello che è legato alla commercializzazione, è invece il frutto di quello che abbiamo dentro, il nostro sentire che si afferma al di là delle mode adottate dalla massa e dell’apparire. Bisogna essere veri.
A proposito di fenomeni main stream, si parla tanto della serie Gomorra e dell’immagine distorta che darebbe di Napoli. Tu, cosa ne pensi?
Parto dal presupposto che sia una serie televisiva, una fiction e deve essere vista come tale. Molto è romanzato anche se ci si rifà a episodi di cronaca realmente accaduti, ma comunque trasfigurati dalla mano degli autori. Sappiamo bene che Napoli non è quella che appare nella serie, la realtà della città è estremizzata e deve fare il gioco del racconto che affascina lo spettatore.

E sugli effetti negativi che avrebbe sui giovani?
Quello che si deve evitare è l’emulazione di certi comportamenti negativi, su questo non c’è dubbio. La nostra è già una città difficile che esprime purtroppo fenomeni di delinquenza giovanile. Ma i ragazzi difficili di Napoli vanno guidati, a loro bisogna far capire che certi comportamenti devono restare nella trama di un film, la vita reale è un’altra cosa.
Cosa può fare la musica per i giovani di Napoli?
Può fare moltissimo, come può fare moltissimo anche il cinema; può servire al riscatto sociale di tanti ragazzi che spesso sono circondati dal degrado e che chiedono la presenza delle istituzioni. La musica può e deve sostituirsi alle apparenze passeggere, ma è fatta di sacrifici e di rinunce, e deve essere prima di tutto messaggio della propria verità.

Parliamo di un mistero tutto partenopeo, Liberato. Sai chi si nasconde dietro la sua «maschera» anonima?
Non ne ho la minima idea, ma mi auguro per lui che mai si venga a scoprire. Sta lì la chiave del suo successo. Credo che una volta svelata la sua identità andrebbe a scemare l’interesse nei suoi confronti.
Vuoi dire che nel suo caso ci troviamo di fronte all’ennesimo affermarsi della forma rispetto alla sostanza?
Le produzioni sono pure carine, ma effettivamente sta nell’anonimato la sua forza. A conferma del fatto che si riesca ad avere successo anche senza mostrarsi in volto. Certo è un’operazione di marketing riuscitissima, una intuizione vincente, ma forse è l’unica cosa che riesce a creare attenzione intorno al personaggio e alla musica di Liberato.