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Home Inchieste e storia della camorra

Con la corda di lenzuola o il burro d’arachidi, breve storia di strane evasioni

di Redazione
26 Agosto 2019
in Inchieste e storia della camorra, Notizie di Cronaca
Tempo di lettura: 3 minuti
La moto su rotaie per la fuga del Chapo Guzmàn

La moto su rotaie per la fuga del Chapo Guzmàn

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di Giancarlo Tommasone

Dalla corda legata alle sbarre delle finestre, per calarsi dai muri di cinta del carcere, fino al travestimento per eludere i controlli e conquistare la libertà, passando dall’utilizzo di burro d’arachidi. Proprio così, burro d’arachidi. In molti casi l’evasione è un’«arte» che si nutre di fervida fantasia e di necessità, e che poco ha a che vedere con quella (infarcita di trucchi e di illusione) del più grande rappresentante dell’escapologia che sia mai esistito, Harry Houdini.

La prima evasione a Poggioreale,
dopo cent’anni, l’ha portata a termine ieri mattina,
un detenuto di origine polacca

Robert Lisowski ha scelto forse il metodo tradizionale per eccellenza, quello della corda fatta con le lenzuola, di cui è considerato inventore tale Jack Sheppard, un ladruncolo britannico vissuto agli inizi del 1.700 (e morto giovanissimo, aveva appena 22 anni).

Prova a travestirsi da sua figlia
per riconquistare la libertà

Parlando in termini di metodi più o meno eclatanti e fantasiosi per lasciarsi il carcere alle spalle, qualche settimana fa ha fatto il giro del mondo il caso di un narcotrafficante brasiliano. Clauvino De Silva, per fuggire, ha pensato di travestirsi come sua figlia, che si era recata in prigione per fargli visita. Indossando una parrucca, una maschera in silicone e una felpa da teenager, il narcos ha effettuato la trasformazione. La figlia, l’avrebbe lasciata al suo posto dietro le sbarre. Il tentativo di De Silva è stato scoperto a pochi passi dall’ultimo cancello che lo separava dalla libertà.

Dal camuffamento
all’utilizzo
del burro
di arachidi

Nel 2017, un gruppo di detenuti ristretto in un carcere dell’Alabama , ha attuato un espediente davvero incredibile. Utilizzando a mo’ di colore, una gran quantità di burro di arachidi («estratto» dai panini ricevuti a pranzo), i 12 hanno «mimetizzato» una porta, alterando il numero d’ingresso. Si trattava di un «gate» che portava verso l’esterno. Un giorno, approfittando dell’avvento di un agente alle prime armi, uno del gruppo gli ha chiesto di farsi aprire la «porta» per rientrare nella (finta) cella. Una volta spalancato il «passaggio», tutti e 12 i detenuti sono riusciti ad evadere. «Spettacolare» anche  la fuga attuata a luglio del 2015, da Joaquin Guzmán, meglio conosciuto come El Chapo.

Il narcotrafficante scappò attraverso un tunnel lungo circa un chilometro e mezzo, scavato dai suoi complici, all’esterno del penitenziario. Riuscì ad accedere al «manufatto» sotterraneo, calandosi in un buco di 50 centimetri procurato nell’area della doccia. Il trattò di un chilometro e mezzo lo compì in sella a una moto montata su rotaie. Trasferendoci di nuovo in Italia, degna di nota è pure l’evasione di Cesare Battisti (l’ex terrorista rosso catturato lo scorso gennaio dopo ben 37 anni di latitanza).

Cesare Battisti, l’evasione dal carcere
insieme al boss Luigi Moccia

Detenuto insieme a Luigi Moccia,  riesce a prendere il largo proprio insieme a quest’ultimo, approfittando dell’azione di complici di Battisti che vanno a «recuperare» direttamente in carcere, armi in pugno, l’ex componente dei Proletari armati per il comunismo. Eclatante è anche la fuga di Ferdinando Cesarano e di Giuseppe Autorino.

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A giugno del 1998, mentre si trovano all’interno dell’aula bunker del Tribunale di Salerno (imputati in un processo imbastito nei loro confronti), spariscono alla vista dei presenti, infilandosi in un tunnel che alcuni complici hanno scavato in precedenza, e che spunta proprio nella gabbia che ospita i due boss della camorra. Per finire, è assolutamente singolare il modo che scelse nel 1987, Renato Vallanzasca, leader della banda della Comasina, per scappare. Durante un trasferimento che lo avrebbe portato nel carcere dell’Asinara, evase dall’oblò di un traghetto.

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