di Giancarlo Tommasone
Che don Franco Esposito, cappellano del carcere di Poggioreale, che sposa le posizioni dell’universo antagonista napoletano, sia uno che sceglie un linguaggio tutt’altro che convenzionale e squisitamente partitico, è cosa nota da sempre. Per rendersene conto, basta pure guardare la vignetta che utilizza come immagine di copertina su Facebook: una irriverente nuvoletta a forma di dito medio espulsa dal fumaiolo della Sea Watch, di fronte a un Matteo Salvini (uno degli bersagli preferiti del religioso) che salta dalla rabbia.
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Proprio dal diffusissimo social network, ieri sera, don Franco ha esternato la propria «omelia», relativa all’evasione dalla struttura penitenziaria, del 32enne polacco, Robert Lisowski (arrestato dalla Squadra Mobile il 5 dicembre scorso per omicidio).
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evade grazie a una corda di lenzuola
«E’ scappato un detenuto da Poggioreale; embé?», «titola» il cappellano, sottolineando come la circostanza sia la più naturale che possa accadere.
Il post
pubblicato
da don Franco Esposito
sul proprio
profilo Facebook
«Quello che è innaturale – argomenta Esposito – è tenere rinchiuse delle persone in una situazione disumana e degradante. Con questo non sto assolutamente giustificando l’evasione di un pericoloso criminale (questo almeno secondo gli organi di informazione) ma vorrei spostare l’attenzione sul fatto che carceri come quello di Poggioreale non hanno certamente i requisiti per essere rieducativi e non servono certo al reinserimento della persona detenuta nel tessuto sociale. Allora mi domando se il carcere non è questo, qual è il suo compito, a cosa serve?». Ognuno è libero di scrivere quello che vuole sul proprio profilo o dove ritiene, facendolo, però, si assume le responsabilità delle proprie dichiarazioni.
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all’interno del carcere di Poggioreale
In questo caso, nonostante il cappellano tenti in maniera piuttosto maldestra – «non sto assolutamente giustificando l’evasione di un pericoloso criminale (questo almeno secondo gli organi di informazione)» – di non incorrere nell’equivoco affrontando l’argomento, dimentica che Lisowski (non lo dicono solo i giornali, ma lo «sentenziano» i fatti, e lo sottolineano informative di polizia giudiziaria, che fanno emergere un soggetto molto pericoloso) si trovava in carcere per l’omicidio di un giovane ragazzo ucraino.
Si chiamava Iurii Busuiok, faceva il muratore (in patria svolgeva la professione di maestro di scuola) ed è stato assassinato dal 32enne polacco. Tornando a don Franco, «embé» significa: cosa dobbiamo farci? Chissà cosa potrebbero pensare (ma è facilmente intuibile) i genitori di Iurii (anche loro in Italia da anni) rispetto al post, partorito, evidentemente pesato (anche in relazione alla sua valenza politica), scritto e pubblicato dal religioso.
Vocazione religiosa
e vocazione politica
Che se da un lato, è vero, è il cappellano di Poggioreale, resta fondamentalmente un prete, che come deve curare le anime dei reclusi e cercare di lenire le loro sofferenze, allo stesso modo dovrebbe avere la sensibilità (non diciamo di essere vicino, ma almeno) di non ferire la sensibilità di chi ha perso un figlio, accoltellato da un detenuto evaso.
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Don Franco, però, parla di strutture (come il carcere di Poggioreale) ritenendole mancanti dei requisiti per essere rieducative e che «non servono certo al reinserimento della persona detenuta nel tessuto sociale». E palesa ancora una volta, una forte «vocazione» politica e di partito, piuttosto che religiosa, a favore degli ultimi. Che però devono essere tutti gli ultimi: in questa categoria (spirituale, non solo sociale, si badi bene) c’è anche chi sopravvive al dolore dei figli ammazzati.