di Giancarlo Tommasone
Quale fu l’arma più efficace della camorra negli anni Ottanta? Sicuramente il consenso. E più si riuscì a equilibrare il terrore, la forza, l’intimidazione con una forma di approvazione (sbagliata, sia chiaro), più semplice risultò riuscire a infiltrarsi, a ogni livello, nel tessuto sociale. Partendo dal basso, dal sottoproletariato in città, e dalla terra, dagli sbandati nei paesi «rurali» della provincia; laddove c’erano ancora gli appezzamenti coltivati, laddove il contadino era lo sfruttato per antonomasia, e quindi il più debole e il più semplice da attrarre.
La camorra,
e ci riferiamo
in particolare
a quella cutoliana,
seguì una lezione diametralmente
opposta rispetto a quella impartita
dal «divide et impera» di latina memoria,
e fu soprattutto (almeno nella genesi e nelle intenzioni, forse poco genuine) di «aggrega e comanda»
Del resto, Raffaele Cutolo non ha mai voluto spiegare cosa significasse Nco e ha più volte detto «Nuova camorra organizzata è un termine che usano giornalisti e magistrati», mentre, per lui si poteva considerare alla guisa di «un partito, un partito del popolo… e io sono una specie di Robin Hood».
Fatti i doverosi distinguo,
soprattutto dal punto di vista dimensionale
e dei valori espressi, non si può negare, in effetti l’appeal
che tale esercito del male esercitasse verso i diseredati
E allora fa effetto sentire le parole di quello che è considerato uno degli ideologi delle Brigate rosse, Enrico Fenzi (dissociatosi dalla lotta armata già a partire dal 1982 dopo circa sei anni di militanza).
Nel corso di una intervista resa al giornalista Sergio Zavoli, il professor Fenzi (ex docente di Letteratura italiana all’Università di Genova) rispondendo proprio a una domanda sulla Nco, definisce i cutoliani come «un movimento sociale».
Rapporti
tra Brigate rosse
e camorra,
il racconto
dell’ex Br Enrico Fenzi
Zavoli chiede a Fenzi se avesse sentito mai parlare di rapporti tra la camorra e Giovanni Senzani (considerato all’epoca dell’intervista uno degli irriducibili delle Br, movimentista, ex capo del gruppo delle carceri, ex leader della colonna napoletana e tra l’altro proprio cognato di Fenzi). «No, non ne ho sentito mai parlare, però ho potuto constatare durante la mia esperienza carceraria, che la camorra che, in particolare si richiamava a Cutolo, e quindi i cutoliani in quanto tali, si consideravano non tanto una banda criminale, quanto un movimento sociale. Una realtà sociale». Realtà, continua Fenzi, «con forti connotati antistatali ed eversivi e forti contenuti di solidarietà popolare. Ho trovato una fortissima simpatia da parte di questi camorristi verso le Brigate rosse». «Fortissima – sottolinea il professore -, quasi un’adesione». «Mi riusciva e mi riesce difficile immaginare, ancora oggi, per certi aspetti, una presenza delle Brigate rosse o di un gruppo eversivo in una realtà come quella napoletana senza in qualche maniera dei rapporti con una organizzazione, come per esempio, quella che era di Cutolo». A questo punto non bisogna dimenticare che Senzani era a capo della colonna napoletana, e si deve tenere pure presente del ruolo fondamentale che Cutolo e il suo gruppo ebbero nella trattativa per la liberazione dell’assessore regionale Ciro Cirillo.