LA STORIA DELLA CAMORRA Il dietrofront nel corso del processo imbastito contro il clan Zaza
«Ho detto tutte bugie, quelli che ho accusato, indicandoli come componenti della Nuova famiglia, e in particolar modo, componenti del clan Zaza, sono tutti innocenti». Lo dichiara il collaboratore di giustizia Pasquale D’Amico – ex rappresentante di vertice della Nco di Raffaele Cutolo -, alias ’o cartunaro, nel corso dell’udienza del 13 marzo 1986, a Napoli (udienza del processo al clan Zaza, alla sbarra ci sono 102 imputati). Si tratta di un dietrofront di D’Amico, che in precedenza aveva fatto nomi e cognomi di persone inserite – a suo dire – nella Nuova famiglia e nel gruppo capeggiato da Michele ’o pazzo (Zaza, ndr). «Mi sono inventato tutto – afferma il pentito –, ed ero imbeccato dalla Questura, dai carabinieri. Mi dicevano: accusa a questo, dici che quell’altro fa parte di quel clan. E io così facevo».
Il messaggio / La lettera col pezzo di lingua
umana per far tacere l’accusatore di Cutolo
Il presidente della Corte contesta a D’Amico che in precedenza aveva reso ben altre dichiarazioni, e lui ribadisce: «Le persone che ho accusato sono tutte innocenti. Loro (le forze dell’ordine, ndr) mi dicevano: accusa a questo o a quell’altro e io dovevo farlo». E alla domanda di un avvocato, D’Amico risponde: «Confermo: le persone che ho accusato in questo processo sono tutte innocenti». Nel corso di precedenti udienze, ’o cartunaro aveva fatto nomi e cognomi di presunti affiliati, sia alla Nuova camorra organizzata che alla Nuova famiglia, e aveva parlato anche di passaggi da un clan all’altro. «Quindi – chiede il presidente – anche quando parlava di persone che avevano lasciato una organizzazione criminale per entrare a far parte di un’altra, ha detto il falso?». «Sì, signor presidente: ho detto solo bugie», taglia corto D’Amico. Non era raro, in quegli anni, caratterizzati anche da una sorta di caos, sul fronte del fenomeno del pentitismo, che i collaboratori di giustizia – magari per quello che ritenevano un torto subìto in carcere, o per altri motivi – una settimana prima arrivassero a lanciare decine e decine di persone, per ritrattare tutto, la settimana successiva.