Quando la burocrazia uccide: se il Piano di assetto idrogeologico, approvato a maggio, fosse stato seguito, oggi, ci sarebbero 11 vittime in meno
La burocrazia uccide l’Italia, e molte volte uccide anche le persone. Così potrebbe essere riassunto lo stato attuale del Bel paese che deve fare i conti con i disastri del dissesto idrogeologico. L’ultimo, terribile, in ordine di tempo è quello nelle Marche dove le vittime sono state ben 11. E ci sono ancora 3 dispersi, tra cui il piccolo Mattia di soli 8 anni. Una tragedia che però era evitabile visto che a maggio era stato approvato il Piano di assetto idrogeologico.
Documento che «Il Giornale» ha avuto modo di vedere. Secondo un articolo di Maria Sorbi, l’atto era in mano sia a Comuni, Regioni e Protezione civile e poteva evitare che ci fossero vittime. Le zone a maggior rischio segnalati dagli estensori del Piano, infatti, corrispondevano esattamente ai comuni colpiti dall’alluvione. Eppure in alcuni non è scattata nemmeno l’allerta meteo.
Il piano compilato nel 2004
Il rischio alluvione era alto e il piano era già stato compilato nel lontano 2004, poi aggiornato nel 2016 e approvato a maggio 2022. Un atto, quello di stendere e aggiornare le cartine è un obbligo di legge dall’alluvione di Sarno che causò 161 vittime nel 1998. Ma tutto è stato inutile. Nelle Marche è stato compilato ma nessuno gli ha dato seguito nonostante già nel 2014 ci fosse stata un’altra alluvione. L’alibi come al solito, sono le lungaggini burocratiche.
«Qui ogni vallata e a rischio- afferma Daniele Mercuri, consigliere nazionale marchigiano dei Geologi a “il Giornale” – Non a caso dagli anni Settanta a oggi, siamo stati colpiti da oltre dieci eventi di questa portata. L’aggiornamento della mappa del rischio idrogeologico è un lavoro molto impegnativo, per quello non viene fatto così di frequente, gli aggiornamenti sono soggettivi da comune in comune».
Nel piano approvato a maggio le zone in rosso, riferisce ancora il quotidiano, corrispondono perfettamente a quelle dei paesini in cui nemmeno è stato lanciato l’allarme alluvione. Ma non è stato mai organizzato nemmeno un minicorso per istruire gli abitanti su cosa fare in caso di esondazione dei fiumi, come avviene ciclicamente nel resto d’Italia per i terremoti o l’esplosione di vulcani. Magari se le persone fossero state debitamente istruite, oggi, non saremmo qui a piangere 11 vittime.
Gli interventi al fiume Misa
«Risulta evidente che siano necessari diversi interventi – è un passaggio dell’assetto di progetto per la media e bassa valle del Misa riportato dal «il Giornale» del 2016 – per potere mettere in sicurezza il nume Misa, in particolar modo all’interno dell’abitato di Senigallia e poco a monte dello stesso». Secondo lo stesso sarebbe stato necessario ridurre il più possibile la portata di picco che attraversa il centro di Senigallia mediante laminazione e aumentare il più possibile la capacità di deflusso.
Nella stessa cittadina a gennaio la giunta aveva approvato i lavori per le vasche di contenimento, dopo anni di polemiche, e ad aprile erano anche stati consegnati i lavori: 510 giorni di cantiere per mettere in sicurezza il fiume. Ma ora, questa nuova alluvione, rischia di allungare ancora di più i tempi. «La verità è che in Italia è impossibile fare lavori, c’è troppa burocrazia» commenta amaro al quotidiano milanese l’ex presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli.