di Giancarlo Tommasone
Dodici miliardi contro 63 milioni, di euro. Da una parte i debiti romani, dall’altra quelli napoletani. Si parla di passivi, nei fatti «abbuonati», e che graveranno sull’intero Stato, sulle spalle di tutti i contribuenti, alleggerendo invece le casse dei rispettivi Comuni che, in tempi diversi, usufruiscono del «beneficio». Casse che non per questo potranno dire di essere sanate. Attraverso il decreto Crescita (presentato in Campidoglio alla presenza del viceministro all’Economia, Laura Castelli) Virginia Raggi, da qualche giorno, arriva laddove Luigi de Magistris, forse, non ha mai immaginato di arrivare e, infatti, non è arrivato. Potendo contare, il sindaco del Comune di Napoli (che fa i conti con un bilancio gravato da 2,7 miliardi di euro di debiti), nella 190esima parte di aiuti, rispetto a quelli dell’omologa capitolina.
I 63 milioni di cui è stato alleggerito l’Ente partenopeo sono quelli che si è accollato il passato Governo (la scorsa primavera), grazie a una delle ultime azioni della Legislatura guidata dall’ex premier Paolo Gentiloni.
Si tratta di buona porzione degli 84 milioni di euro (compresi gli interessi) del credito vantato dal Consorzio per la ricostruzione edilizia seguita al sisma del 1980, il famoso «debito ingiusto». Qualcuno dirà che Raggi ha dalla sua, metà del Governo, ed è cosa giusta. Ma anche de Magistris, ha potuto contare sul salvagente del Milleproroghe dipinto di giallo, con il tanto discusso emendamento Grassi, ribattezzato «salva-finanze» o addirittura, proprio «salva-Napoli»: debito spalmato in 30 anni per i Comuni interessati da pre-dissesto.

La fascia tricolore partenopea che, a marzo scorso, ha siglato l’intesa con la Cassa Depositi e Prestiti per la disponibilità di un’anticipazione di liquidità di cassa di 200 milioni di euro, trova pure l’occasione per attaccare Raggi e il «salva-Roma».
Il decreto relativo ai 12 miliardi di euro, afferma il sindaco di Napoli, «è un’ingiustizia clamorosa. Così come è, il salva-Roma non passerà altrimenti dovranno passare sullo sciopero della città di Napoli di fronte a una legge che ancora una volta divide il Paese e che considera figli e figliastri in cui i figli sono quelli che appartengono al politicante di turno che governa».

Ironia della sorte, le dichiarazioni del sindaco contro il «salva-Roma» sono in linea con quelle del vicepremier Matteo Salvini, solo che de Magistris, si tiene ben lontano dal farlo notare e, questa volta, chissà perché, non tiene la solita filippica contro il leader della Lega (che poi rappresenta la metà del Governo centrale). «Non pagheremo debiti fatti da altri, a differenza dei governi del passato – ha detto il ministro dell’Interno – Stiamo ragionando sul modo attraverso il quale aiutare i cittadini senza ripianare i debiti. Cercheremo di aiutare i cittadini perché non possono andarci di mezzo loro per la pessima amministrazione del Comune di Roma, non tanto quella attuale ma passata». Comunque la si voglia vedere, la vicenda «salva-Roma» fa emergere, in maniera lampante, il diverso peso politico di Virginia Raggi e di Luigi de Magistris. La prima può contare su uno «sconto» di 12 miliardi di euro, il secondo su un «abbuono» di appena 63 milioni.