Gli inquirenti tracciano il profilo del figlio dello storico capoclan del Vomero: «Era lui a partecipare ai summit con i Lo Russo». Eppure nel 2016 si scagliò contro la stampa cittadina: «Chi vi paga per perseguitarci?»
di Luigi Nicolosi
La sua partecipazione al clan sarebbe stata «attiva» ma «non palese e concreta, se non a fasi alterne». È questo il ritratto che gli inquirenti della Dda di Napoli fanno del rampollo Franco Diego Cimmino, il figlio del capoclan vomerese Luigi, arrestato pochi giorni fa con l’accusa di mafia ed estorsione aggravata. Quello del 35enne era del resto già da qualche tempo un volto noto alle cronache cittadine. Eccentrico nel look e danaroso, lo scorso anno aveva fatto parlare di sé per aver fatto da modello a un noto negozio di alta moda della zona collinare della città. Quegli scatti fecero molto discutere ma il diretto interessato respinse le accuse ai mittenti facendo leva sul proprio status di incensurato.
Dai social emerge poi la devozione che Cimmino jr nutre nei confronti del padre, tanto da averne tatuato il nome all’interno del labbro inferiore, e della propria famiglia. Non a caso quando nel 2016, in occasione del sequestro di un bar dell’Arenella riconducibile – secondo i pm – proprio alla famiglia Cimmino, Franco Diego non esitò a scagliarsi contro la stampa: «Denuncerò tutti per persecuzione. Chi vi sta pagando per infangare il nome di mio padre?», era l’interrogativo che aveva affidato al proprio profilo facebook. A quella e altre domande ci hanno pensato però gli inquirenti della Procura di Napoli, i quali nel provvedimento cautelare eseguito all’alba di venerdì nei confronti di 46 persone tracciano un profilo ben chiaro del rampollo della mala vomerese.
«Sebbene la sua partecipazione attiva al sodalizio non sia palese e concreta, se non a fasi alterne, Franco Diego Cimmino è certamente inserito nel consesso camorristico», scrivono i pm, aggiungendo: «Già prima dell’arresto del padre Luigi, Franco Diego aveva cominciato ad affiancarlo nelle attività estorsive nonché nella gestione dei rapporti di vertice con clan limitrofi e alleati. Egli infatti in compagnia di Fabio Rigione nel 2014 venne sorpreso durante un incontro di elevata caratura camorristica con esponenti di primo piano dell’allora clan Lo Russo di Miano». Stando all’ipotesi accusatoria, infatti, i “Capitoni” e i Cimmino-Caiazzo avrebbero per anni gestito in regime pressoché monopolistico il giro di affare delle estorsioni sugli appalti della sanità campana, gestendo la quasi totalità degli ospedali cittadini.
Le accuse a carico del 35enne Cimmino non sono però finite qui: «Le attività di indagine hanno dimostrato che sino alla carcerazione del padre Luigi e anche successivamente, per un certo periodo lui e i suoi uomini gestivano le attività estorsive del quartiere Vomero. Franco Diego Cimmino riceve una quota mensile dei proventi delle attività estorsive e illecite compite dal clan a prescindere dalla sua concreta partecipazione alle azioni criminali attraverso la “mesata” spettante anche al padre detenuto Luigi». Gli inquirenti dell’Antimafia entrano poi nel merito di quello che sarebbe il suo attuale ruolo all’interno dell’organizzazione fornendo ulteriori dettagli.
«Franco Diego Cimmino ha surrogato il padre Luigi, dopo il suo arresto, nell’incasso di alcune somme di denaro relative all’estorsione compiuta nel 2013-2014 ai danni di aziende appaltatrici del Caldarelli di Napoli (appalto Ceglos), incassando rate estorsive quadrimestrali fino all’estate del 2017». I pm sostengono però che l’ascesa del giovane ras all’interno della cosca sia stata tutt’altro che agevole, soprattutto per via di alcuni contrasti che sarebbero sorti negli ultimi tempi con il reggente Andrea Basile, eminenza grigia e mente imprenditoriale-economiche del clan: «Va precisato – scrivono ancora i pm – che malgrado Luigi Cimmino avesse chiesto e ottenuto dal reggente Andrea Basile che il figlio Franco Diego non fosse coinvolto in azioni criminali, Franco Diego Cimmino all’insaputa di Andrea Basile ha continuato a incassare autonomamente alcuni proventi estorsivi destinati al clan, suscitando l’ira del reggente Basile, che in più occasioni sospese i pagamenti della retta mensile nei confronti della famiglia Cimmino».