Il messaggio, le minacce
di Giancarlo Tommasone
La lingua è sinonimo di parola. Con la parola si articolano frasi, discorsi e racconti, pure quelli dei collaboratori di giustizia ai magistrati. Quindi, nella logica di preistorica violenza della camorra, inviare a un pentito, un pezzo di lingua umana, equivale a «invitarlo» a smettere di parlare. La raccapricciante scoperta fu fatta un giorno di primavera del 1986 a Benevento, in carcere. Il plico era indirizzato al collaboratore di giustizia della Nco, Pasquale D’Amico, alias ’o cartunaro, ex capozona di Secondigliano ed ex santista del boss Raffaele Cutolo. D’Amico ricevette un «espresso», una lettera all’interno della quale era stato «allegato» un pezzo di lingua umana, avvolto in un foglio dattiloscritto. Nel messaggio erano riportate le seguenti minacce: «Questa è la lingua di un tuo amico. Adesso basta. Se non ritratti tutte le accuse che hai fatto, ti manderemo la lingua dei tuoi familiari». Secondo quanto riportava il timbro della spedizione, la missiva risultò essere stata inviata dalla Posta della ferrovia di Caserta, il 17 aprile.
Leggi anche / «L’accusatore
di Enzo Tortora?
Era uno spione dei carabinieri»
In carcere arrivò due giorni dopo. La circostanza fu immediatamente denunciata dalla direzione del penitenziario di Benevento, alla Procura della Repubblica, che dispose un esame medico-legale sul frammento di lingua contenuto nella lettera. Pasquale D’Amico è sicuramente uno dei pentiti più noti della Nuova camorra organizzata, fondata da Cutolo. Condannato già a partire dal 1979 per appartenenza ai detta fazione criminale, si rese responsabile – per sua stessa ammissione – di alcuni omicidi avvenuti nelle carceri italiane. Fu accusatore, oltre che del padrino di Ottaviano e dei suoi vecchi sodali, anche del cantautore Franco Califano e del presentatore televisivo Enzo Tortora (entrambi risultarono estranei a ogni addebito, frutto soltanto delle bugie e delle invenzioni di D’Amico e di altri falsi accusatori).
Il caso / La poesia di Cutolo al boia
delle carceri: «Barra è n’omm’ ’e camorra»
D’Amico iniziò a collaborare con la giustizia, poco prima del maxi-blitz contro la Nuova camorra organizzata, avvenuto il 17 giugno 1983. Evaso, insieme con altri due pentiti, a Pasqua del 1984, da una caserma attigua alla Questura di Napoli, fu poi catturato dalla polizia due giorni dopo, in un appartamento di proprietà di una sua amica, a Casoria. Nel corso del 1986, l’abitazione di ’o cartunaro, a Secondigliano, fu fatta oggetto di un attentato dinamitardo. Nello stesso periodo, a Napoli e a Santa Maria Capua Vetere, si svolgevano anche dei processi ad organizzazioni camorristiche; processi che registrarono scena muta da parte dell’ex ras cutoliano. «Non voglio rispondere – spiegò in dette circostanze il pentito – perché la mia famiglia non è sufficientemente protetta».