di Giancarlo Tommasone
La foto campeggia sulla «vetrina» Instagram di un tatuatore di Milano, che mostra le sue opere agli appassionati di disegni sulla pelle. L’artista in questione lavora soprattutto con nero, bianco e grigio e tra i «ritratti» che ha realizzato, spunta quello di Raffaele Cutolo, il boss di Ottaviano, fondatore della Nco.
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Il volto del camorrista (che si avvia verso i 78 anni, 56 dei quali passati in carcere) quasi sporge dalla sbarra della gabbia del tribunale, che fa da cornice all’opera riprodotta sul corpo del cliente.
Arriva perfino a questo il mito sbagliato del «professore», per anni a capo di una tra le più sanguinarie organizzazioni criminali della Penisola: chi lo segue, giunge finanche a portare addosso l’immagine del padrino.
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Del resto la fama di Cutolo, personaggio da sempre sovraesposto mediaticamente, è alimentata da una cospicua letteratura, da una canzone («Don Raffaè» di Fabrizio De Andrè) e dalla trasposizione cinematografica (omonima) del libro «Il camorrista» (romanzo di Joe Marrazzo pubblicato per la prima volta nel 1984).
Arrivare, comunque, a portare sul corpo il volto del boss rappresenta una scelta estrema, da «nostalgico» di un simbolo del male; scelta che fa venire in mente una figura come Giarrone, tragico e disgraziatamente buffo «fan» di Cutolo, immortalato dalle telecamere Rai per un Tg2 Dossier sulla camorra (era il 1981).
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Eppure tutto ciò è accaduto e continua ad accadere, a partire dai bracciali a piastrina con la sigla Nco, fino ad arrivare alla stampa di magliette con la scritta «Il Prof» sovrastata da un’immagine a specchio, tratta da una scena del film «Il camorrista».
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Tornando ai tatuaggi, ci imbattiamo anche in quello che riproduce, sul braccio di un altro «nostalgico» del boss di Ottaviano e della sua organizzazione, una frase famosissima, sempre proveniente dalla pellicola di Giuseppe Tornatore: l’anello davanti, il serpente alle spalle.