di Giancarlo Tommasone
E’ stata fissata al 14 marzo prossimo, giovedì, la data che vedrà comparire davanti al giudice del Tribunale del Riesame di Napoli una decina di indagati nell’ambito dell’inchiesta contro il clan Sequino della Sanità. Tra essi ci saranno anche quello che è considerato dagli inquirenti l’attuale reggente della cosca di Santa Maria Antaesecula, Gianni Sequino detto Gianni Gianni, e suo padre Nicola (entrambi sono difesi dall’avvocato Mario Bruno).
Nel corso della prossima settimana
tutti e 24 gli indagati potrebbero completare
la fase dell’iter giudiziario davanti al Tribunale della libertà
L’operazione contro la cosca del centro cittadino è scattata lo scorso 18 febbraio. Diciannove le persone finite in carcere, 5 ai domiciliari. Tra gli arrestati figurano anche Silvestro Pellecchia (sposato con una sorella dei boss Nicola e Salvatore Sequino), il figlio di quest’ultimo, Salvatore; Ciro Minei, Gennaro Passaretti e Salvatore La Marca. Gli indagati devono rispondere, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, porto abusivo di armi e spaccio di sostanze stupefacenti.
Tutti i reati sono aggravati da finalità e metodo mafiosi. Tra le attività illecite contestate alla cosca c’è quella relativa allo spaccio di droga
Tutto ciò, scrive il gip nell’ordinanza, è stato «ricostruito attraverso le dettagliate dichiarazioni di collaboratori di giustizia nonché le conversazioni telefoniche ed ambientali riportate in atti. Dialoghi attraverso i quali emerge una precisa gestione del territorio, ripartito rigorosamente tra i Sequino e gli altri clan, nel cui ambito possono operare solo gli spacciatori autorizzati». Secondo le risultanze investigative, frutto di indagini effettuate in un periodo che va dal 2016 al 2018, ruolo di primo piano, «di dirigente – annotano gli inquirenti – è senza dubbio rivestito ancora una volta da Gianni Sequino, figlio di Nicola, il quale sovraintendere alle attività, intrattiene i rapporti con i fornitori, regola i rapporti con i pusher, stabilisce le regole, il prezzo di vendita, i quantitativi, gli importi da riscuotere quale tassa per “lavorare in tranquillità”».
La struttura della cosca relativamente
alla gestione dello spaccio degli stupefacenti
Intorno a Gianni Gianni (inteso anche ’o chiatto o Doraemon) orbita «una fitta rete di fidati collaboratori – coincidente in grossa parte con gli stessi affiliati al clan di cui si è già detto per il reato di associazione di tipo mafioso – che lo coadiuvano nell’approvvigionamento dello stupefacente, nel confezionamento delle dosi, nella vendita al dettaglio e nelle attività di riscossione dei crediti sul territorio». Riscossioni che non sempre vanno in porto a causa della irregolarità e dei ritardi nei pagamenti da parte dei pusher. Nel corso di una conversazione intercettata in casa di Gianni Sequino, il 12 novembre del 2016, uno degli indagati, Salvatore La Marca, si lamenta del fatto che all’appello manchino (siano, cioè, in ritardo con i pagamenti dello stupefacente) tre spacciatori.
La Marca, annotano gli inquirenti, «si recava presso l’appartamento oggetto di intercettazione ed ivi riferiva a Sequino Giovanni e a Zolfino Mirko di essere infuriato con tre soggetti, tant’è che il lunedì successivo li avrebbe affrontati personalmente: “Mi sto arrabbiando con questi dietro San Gennaro (zona della Porta San Gennaro)… lunedì vado direttamente nel garage, deve morire mia figlia…”.
Le conversazioni intercettate in casa del reggente
del clan di Via Santa Maria Antaesecula
Zolfino, a questo punto, chiedeva a La Marca chi mancasse all’appello: “Ma perché, chi è che non si fa vedere?”. Al che La Marca gli rispondeva indicandogli i soprannomi di due dei tre soggetti: “Sempre ’o Fusaro e ’a scarola”». Nel corso della giornata viene captata un’altra conversazione, che si svolge tra Gianni Sequino e Ciro Minei; Sequino si lamenta relativamente alla qualità di 10 grammi di stupefacente, indicandolo come erba, ossia marijuana: «Ciro, l’erba più brutta che ci sta, quei dieci grammi mi devi morire tu. Mamma mia….». Contestualmente, al fine di risolvere il problema, è scritto nell’ordinanza, «Sequino disponeva che Minei Ciro, all’atto dell’acquisto, avrebbe dovuto recarsi personalmente per verificare la qualità dello stupefacente: “Vallo a vedere anche tu, vallo a vedere, è meglio”».