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Home Inchieste e storia della camorra

I banditi del clan Contini e la rapina di mutande e maglie intime

di Redazione
2 Agosto 2019
in Inchieste e storia della camorra
Tempo di lettura: 3 minuti
Il boss del Vasto-Arenaccia, Edoardo Contini

Il boss del Vasto-Arenaccia, Edoardo Contini

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di Giancarlo Tommasone

Rischiare il carcere per portare via una borsa piena di effetti personali (capi di vestiario, indumenti intimi, biancheria): può capitare anche questo a un rapinatore, che dovrà tenere la bocca chiusa sull’accaduto, se tiene alla sua «fama» di criminale. Sembra una barzelletta, ma non lo è.

Il profilo / Il pentito Sarno: Edoardo Contini l’ho inventato io

Si tratta dell’esito di un colpo messo a segno da una «squadra» del clan Contini, che, come accertano gli inquirenti, è capitanata, nell’occasione, da Vincenzo Tolomelli (che però, stando a quanto ricostruito, attenderebbe in auto, non partecipando materialmente al raid). Il racconto della rapina fallita su tutta la linea, è riportato nell’ordinanza relativa all’ultima operazione condotta contro il cartello dell’Alleanza di Secondigliano. Dopo diversi sopralluoghi, appostamenti e riscontri, la banda decide di agire.

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L’obiettivo è l’appartamento in cui vivono un padre e il giovane figlio, a San Giorgio a Cremano. L’informatore, che secondo quando emerge dalle indagini, vive nello stesso stabile delle vittime, prepara tutto nei minimi particolari. L’operazione scatta intorno alle 14 di un giorno infrasettimanale, siamo in aprile. I tre banditi indossano pettorine della polizia, e con tale espediente riescono ad entrare nella casa da ripulire. Infatti qualche secondo dopo il loro accesso, estraggono le armi, le puntano contro padre e figlio e immobilizzano entrambi, «legando» polsi e caviglie con nastro adesivo. Poi, sempre tenendole sotto tiro, cominciano a chiedere alle vittime dove si trovino denaro e gioielli.

I rapinatori si sentono rispondere che in casa non c’è più niente di valore, né soldi, né altro.

«Una volta li tenevamo. Ora non più. Cosa volete da noi?», racconta intercettato, un sodale, riportando le parole delle vittime a Tolomelli. In effetti i banditi cominciano a mettere a soqquadro l’appartamento e a scavare dappertutto, ma si arrendono dopo 5 minuti di inutili ricerche. Lasciano padre e figlio immobilizzati e si allontanano portando via solo una borsa piena di effetti personali.

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L’operazione fallita miseramente, si è avvalsa non solo del contributo dei tre esecutori materiali del raid, ma anche di altre persone. Oltre al basista, assai poco capace nell’inquadrare vittime facoltose, si ipotizza che partecipino in appoggio, almeno altri quattro soggetti, e che vengano utilizzate altrettante vetture (compresa quella di Tolomelli).

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Discutendo in auto, sulla via del ritorno, i rapinatori che hanno lasciato le vittime immobilizzate, temono che il padre, malato di cuore (da quanto avrebbero presumibilmente appreso durante il colpo), possa accusare un malore.

I banditi, però, vengono rassicurati da un sodale, che racconta di non aver stretto troppo, quando ha immobilizzato il ragazzo. Quindi ipotizzano che possa liberarsi presto e aiutare anche il genitore, a farlo. Ma la rapina, dal punto di vista del bottino, è andata peggio di ogni più nera previsione, e Tolomelli, arriva perfino a pagare le spese. Si evince dalla conversazione che tiene con il fratello, il giorno successivo al colpo. «Ieri siamo andati a fare un lavoro, non abbiamo preso niente… abbiamo rischiato 10 anni di carcere senza fare un buco», dice Tolomelli. Che si lamenta anche della dritta ricevuta da due persone di San Giorgio a Cremano, evidentemente poco informate sul «patrimonio» delle vittime.

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Si scopre pure che lo stesso Tolomelli, da quanto dice, sarebbe stato costretto a rifondere 750 euro. «Non tenevo una lira – racconta, intercettato, al fratello – Ho dovuto dare 150 euro ai ragazzi che stavano senza mangiare, 150 euro alla mamma, 150 euro a Luciano, 150 euro a Totore ’o curto, e 150 euro a quell’altro. Ma che si fa?».

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