Il pentito Gennaro Panzuto ricostruisce i rapporti tra la mala della Torretta di Chiaia e quella del Vomero: «Ma Antonio Calone mi disse di non fidarmi, ci avrebbe creato solo problemi»
di Luigi Nicolosi
Il boss della mala vomerese era pronto a compiere il salto di qualità stringendo nuove alleanze e, soprattutto, rompendo lo storico accordo con la famiglia Licciardi di Secondigliano. Sarebbe stato questo il piano criminale che Luigi Cimmino avrebbe provato ad attuare alla fine degli anni Novanta, quando è cominciata la sua scalata ai vertici del “sistema” della zona collinare di Napoli. A svelare l’inedito retroscena è Gennaro Panzuto, ex killer del clan Piccirillo, che in lungo interrogatorio reso agli inquirenti della Dda ha raccontato la natura del suo rapporto con Cimmino e non solo. Quello che ne viene fuori è un ritratto di Cimmino con diverse zone d’ombra: «Antonio Calone mi diceva che non dovevo fidarmi di lui perché prima o poi sarebbe venuta fuori la sua intenzione di mettersi contro ai Licciardi e quindi ci poteva creare dei problemi a noi, che ovviamente non avevamo alcuna intenzione di contrastare i Licciardi».
L’interrogatorio in questione risale al 30 aprile del 2008: all’apparenza un’altra era camorristica, ma in realtà le informazioni rivelate da Panzuto sarebbero di estrema attualità, tant’è che quel verbale rappresenta uno dei pilastri della maxi-inchiesta che pochi giorni fa ha portato alla cattura di 46 persone, tutte a vario titolo ritenute coinvolte negli affari criminali del clan Cimmino-Caiazzo. L’ex sicario del gruppo Piccirillo della Torretta di Chiaia ha iniziato il resoconto parlando proprio dei suoi rapporti con il padrino vomerese: «Io personalmente conobbi nel 1997 Luigi Cimmino, lo stesso mi fu presentato da Antonio Calone che mi accompagnò a casa sua a salita Arenella. In quest’occasione stringemmo un accordo per l’eliminazione fisica di Claudio Alberoni e Bambulella, e anche per aiutare Cimmino nell’attuazione delle sue strategie criminali che secondo il suo programma dovevano vederci uniti in un’alleanza tra Vomero, Torretta e Posillipo, così staccandosi anche da Secondigliano, cioè dai Licciardi». Insomma, il boss vomerese sarebbe stato a un passo dalla scissione.
Circostanza, quest’ultima, che Gennaro Panzuto ribadisce nel successivo passaggio: «Io avevo un’affinità con Luigi Cimmino, anche più di Antonio Calone, soprattutto perché condividevo con lui l’idea che non potevamo sempre sottostare alla volontà dei Licciardi anche per le questioni riguardanti le attività criminali nei nostri quartieri». I ribelli sarebbero stati a quel punti guidati proprio da Cimmino, che «in più di un’occasione ci manifestava la sua intenzione di staccarsi da Secondigliano e cioè dai Licciardi e in qualche modo sondava anche quelle che potevano essere le nostre intenzioni. Ricordo infatti che Calone mi diceva che non dovevo fidarmi di lui perché prima o poi sarebbe venuta fuori la sua intenzione di mettersi contro i Licciardi e quindi ci poteva creare dei problemi a noi che ovviamente non avevamo alcuna intenzione di contrastare i Licciardi».
Entrando invece nel merito dell’accordo che i gruppi di Chiaia e Posillipo avevano instaurato con il Vomero-Arenella, «i rapporti con Luigi Cimmino io li ho avuti fino al 1998 e cioè fino a quando poi non ci hanno arrestati; in quel periodo in cui ci siamo frequentati spesso e ricordo che io e Antonio Calone gli facevamo anche da guardiaspalle seguendolo sia al Vomero che a Posillipo a bordo di una moto quasi sempre armati. Le armi ci venivano fornite proprio da Cimmino». Quanto invece agli “affari”: «Cimmino si occupava al Vomero prevalentemente di attività estorsive e talvolta chiedeva a noi un appoggio per le attività estorsive da fare, viceversa ci mandava delle persone soprattutto a Posillipo per eseguire delle estorsioni. Ricordo che Cimmino era particolarmente bravo a fare estorsioni».