di Giancarlo Tommasone
Un prete impiegato dalla famiglia malavitosa di Afragola per portare soldi nella Repubblica di San Marino. E’ quanto emerge dall’ultima inchiesta che ha colpito i Moccia, l’ordinanza è stata notificata a 45 persone. Il prelato – che però non risulta indagato poiché a suo carico non sono stati raccolti elementi tali da ipotizzare ipotesi di reato – compare nel faldone delle intercettazioni, a proposito di altri due insospettabili finiti nella rete tesa da magistrati e forze dell’ordine: due poliziotti. Proprio grazie al servizio di intelligence, è stato possibile ricostruire i viaggi che il prete di Caivano compiva verso San Marino, trasportando, secondo l’ipotesi dell’accusa, grandi quantità di denaro sotto l’abito talare. Il particolare è stato rilanciato dal Corriere del Mezzogiorno.

Non è però la prima volta che i religiosi vengono coinvolti in inchieste sulla camorra. Sono diversi i casi che vedono uomini e donne della Chiesa, essere collegati direttamente o indirettamente alle organizzazioni malavitose. Andando un po’ indietro con la memoria, riemerge ad esempio il caso di don Giuseppe Romano, il parroco della chiesa di San Giorgio, edificio al confine tra Somma Vesuviana e Ottaviano. All’inizio di gennaio del 1986 don Peppino fu raggiunto da un commando killer che gli scaricò addosso sei pallottole. Il parroco, operato d’urgenza al Cardarelli, sembrava riprendersi, ma poi le sue condizioni si aggravarono e spirò dopo alcuni giorni di ricovero. Quel decesso è ammantato di mistero, perché, secondo ipotesi investigative, altri killer sarebbero entrati di notte nell’ospedale collinare e avrebbero avvelenato il prete. Che tra l’altro attendeva l’inizio del processo a suo carico per favoreggiamento nei confronti del clan di Raffaele Cutolo. Era considerato il depositario dei segreti della famiglia di Ottaviano e soprattutto il confessore di Rosetta, alias occhi di ghiaccio.

Per scovare quest’ultima, durante la sua latitanza durata dieci anni, gli investigatori arrivarono a mettere sotto controllo i telefoni di un convento. Convento nel quale, secondo gli inquirenti, si sarebbe nascosta per molto tempo, prima che le forze dell’ordine decidessero di fare un’irruzione senza però trovare più traccia della madrina della Nco. Nel 1983, durante la maxi retata contro la Nuova camorra organizzata, finirono in manette anche due ecclesiastici: una suora di Portici e il cappellano del carcere di Ascoli Piceno. Sempre per restare in territorio religioso, secondo uno spunto investigativo seguito all’epoca dei fatti, nel 2000, l’allora primula rossa dei Casalesi, Michele Zagaria, anche detto ‘o monaco oltre che capa storta, si sarebbe nascosto nel sottotetto di una chiesa del Casertano.

Le cronache un po’ più recenti ci riportano ancora alla Nco. Nel 2007, una suora, sorella di un ergastolano, ex luogotenente del professore di Ottaviano – per il quale controllava il territorio di San Giuseppe Vesuviano – venne indagata per associazione camorristica. L’avviso di garanzia le fu notificato nel convento di Barra, dove viveva. Secondo quanto fu ricostruito dagli inquirenti, la religiosa avrebbe fatto da messaggera per il fratello – dal quale riceveva numerose lettere dal carcere – recapitando ambasciate agli affiliati della cosca.