di Ilaria Riccelli
L’espediente viene già utilizzato dagli avvocati nelle sedi penali per ottenere una congrua riduzione della pena
Per la Corte di Cassazione bastano le «scuse» per ridurre la pena in caso di violenza sessuale. E’ quello che è stato scritto nella sentenza emessa dalla III sezione penale della Suprema Corte del 25 ottobre scorso, esito di una vicenda giudiziaria che aveva avuto origine nel lontano 2011. La Corte di Cassazione svolge una funzione definita «nomofilattica», ovvero di corretta interpretazione della legge, e proprio in virtù di questa funzione, pur non essendo vincolanti i precedenti della Corte, costituiscono pur sempre un orientamento a cui i giudici e gli avvocati possono ispirarsi e attenersi nell’interpretazione giuridica di casi analoghi. Andando nel pratico quindi l’espediente viene già utilizzato dagli avvocati nelle sedi penali per ottenere una congrua riduzione della pena agli imputati per violenza sessuale. La storia viene raccontata da Valeria di Corrado su «il Mattino».
Il caso giudiziario
Un infermiere, ormai 67enne, diventava protagonista/imputato in un processo per aver baciato e palpato le parti intime di una paziente, che si trovava in quel momento distesa su un lettino con gli elettrodi sul corpo. La vicenda avveniva durante lo svolgimento dell’orario di lavoro del sanitario, presso un nosocomio abruzzese nel reparto psichiatria. Alla fine del processo di primo grado l’infermiere veniva quindi condannato alla pena della reclusione dal Tribunale di Lanciano. Sembrava che giustizia fosse stata fatta. Invece l’operatore sanitario ha appellato la sentenza, specificando tra i motivi di gravame la circostanza che immediatamente dopo il terribile episodio, si fosse apprestato a chiedere scusa alla paziente.
Subito dopo il misfatto, infatti, l’uomo l’avrebbe addirittura cercata, nella sala fumatori dell’ospedale, per chiederle scusa di averla baciata e palpeggiata mentre era inerme e distesa sul lettino. A causa di questa circostanza «attenuante» la Corte di Appello dell’Aquila aveva ridotto la pena riqualificandola in tre anni e quattro mesi. Il Procuratore Generale della Corte di Appello dell’Aquila era quindi ricorso in Cassazione, per «una erronea applicazione» della circostanza attenuante che riguarda i fatti di «minore gravità».
L’articolo del codice penale che prevede il reato di «violenza sessuale», all’ultimo comma indica infatti la riduzione fino a due terzi della pena, nelle ipotesi in cui si tratti di «casi di minore gravità»: ed è a questo che si sono appigliati gli avvocati dell’infermerie. La Corte di Cassazione, contrariamente alle aspettative, ha aderito a questo «orientamento», applicando la circostanza attenuante della minore gravità del fatto, come se il reato non avesse leso in maniera grave la libertà sessuale della persona offesa.
L’esempio
E’ notizia recente che il precedente venga già utilizzato. L’avvocato di un fisioterapista romano – accusato di aver palpeggiato le parti intime di una paziente mentre effettuava un massaggio – ha chiesto per il suo cliente l’applicazione della circostanza attenuante che comporta la riduzione della pena «del fatto di minore gravità», ed in effetti il Tribunale di Roma ha ritenuto che anche in questo caso di applicarla.