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I casalesi si riciclano come «manovalanza» della ‘Ndrangheta

di Redazione
14 Novembre 2017
in Notizie di Cronaca
Tempo di lettura: 2 minuti
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di Giancarlo Tommasone

Le cronache giudiziarie degli scorsi anni e la grande eco mediatica che ne è derivata ci avevano abituato a immaginarci quella dei casalesi come un’organizzazione non solo capace di dettare legge nel territorio storico di appartenenza, ma anche nel resto d’Italia e addirittura all’estero.

IL CLAN DEI CASALESI
VENIVA CONSIDERATO
COME IN GRADO
DI DETTARE LEGGE
IN TUTTA ITALIA

Un clan che avrebbe oscurato per apparato militare, volume degli affari e potenza economica, la mafia e persino le ‘ndrine calabresi. Nell’ultimo periodo però si registra una forte inversione di tendenza. Dettata dall’efficacia della risposta dello Stato che ha prodotto arresti, creato il clima in cui far maturare nuovi pentimenti ed è giunto ad ottenere il ridimensionamento sensibile dell’organizzazione.

Tanto che, come emerso di recente dall’indagine Reticolo (filone dell’inchiesta Aemilia) che ha portato ad 8 arresti, due campani – ritenuti dagli inquirenti organici ai casalesi – sono stati utilizzati dalla ‘Ndrangheta come picchiatori nel carcere bolognese della Dozza. I due casalesi, secondo le dichiarazioni del pentito Pino Giglio, ex «manager» della cosca Grande Aracri di Cutro, avrebbero punito un altro campano che ricopriva il ruolo di «spesino» (colui che si occupa dell’acquisto di generi alimentari) nella sezione di Alta sicurezza.

Il carcere della Dozza a Bologna
Il carcere della Dozza a Bologna

Il pestaggio in carcere sarebbe stato ordinato dai vertici del «locale» di ‘Ndrangheta perché il detenuto sarebbe stato considerato irrispettoso e non si sarebbe attenuto alle disposizioni imposte. A compiere la missione e quindi a sottostare ad ordini per mansioni di manovalanza, addirittura due casalesi. Ad indicare che a causa del ridimensionamento del clan, gli affiliati al sodalizio nato in Terra di lavoro, si sono riciclati e non disdegnano di portare a termine «servizi» una volta assegnati all’ultimo dei picciotti.

Tali compiti di terz’ordine, come si evince pure dalla natura dei reati contestati a un gruppo di casalesi trasferitosi nel Modenese, sarebbero svolti per la ‘Ndrangheta anche al di fuori del carcere. Le recenti inchieste dell’Antimafia in Emilia Romagna, come in Toscana, fanno dunque emergere un particolare su tutti: non c’è radicamento della camorra in queste regioni.

LE UNICHE COSCHE CRIMINALI
RADICATE NEL NORD ITALIA
SONO QUELLE CALABRESI

«Per radicamento – spiega uno degli investigatori che si è occupato tra le altre, proprio dell’inchiesta Aemilia per la Dda – si intende, la presenza di una organizzazione criminale, che sia stabile, costante, strutturata, sviluppata in un periodo di più di 20 anni e soprattutto determinante per il flusso economico della zona in cui risiede questa o quella cosca». «Possiamo concludere senza tema di sbagliare – evidenzia l’investigatore a Stylo24 – che attualmente c’è una sola organizzazione tale da essere considerata quasi autoctona nelle regioni settentrionali della Penisola e va sotto il nome di ‘Ndrangheta».

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