L’affiliato al boss: accontentiamoci, i tempi sono cambiati
di Giancarlo Tommasone
Dall’imprenditore impegnato nelle opere di riqualificazione di Via Marina, a quello al lavoro nello scalo partenopeo, passando dal titolare di una ditta di riparazione e rivendita di gomme per auto. Nessuno era al sicuro, tutti dovevano versare la «tassa» della tranquillità al clan Montescuro. E’ quanto emerge dall’ordinanza di circa 1.200 pagine a firma del gip Alessandra Ferrigno. Naturalmente le quote venivano calcolate in base agli introiti delle vittime. L’operazione, scattata la scorsa settimana, contro sette cosche napoletane, ha portato all’arresto di oltre 20 persone (gli indagati in totale sono 52).
Al vertice del clan
un 85enne,
Carmine Montescuro
Conosciuto all’anagrafe
di camorra
come zì Menuzz’
Il capo riconosciuto del gruppo di Sant’Erasmo è Carmine Montescuro, 85 anni, il cui carisma criminale è considerato dagli inquirenti, attualmente senza pari, nel panorama della malavita campana. Zì Menuzz’, il «grande vecchio» della camorra, non solo faceva da «paciere» tra le cosche quando si presentavano dei problemi ascrivibili agli equilibri, ma era anche il «mediatore» per quel che riguarda l’avvicinamento degli imprenditori, la riscossione del pizzo e la spartizione del denaro con i clan coinvolti nell’affare illecito. Va da sé che particolare interesse rivestono per le organizzazioni malavitose i lavori per la riqualificazione di Via Marina.
I riscontri investigativi / Inchiesta anticamorra,
tra gli indagati c’è anche un geometra del Comune
La pressione della camorra, a un certo punto si fa tale, da portare i titolari di imprese a chiudere il cantiere, rinunciando a concludere le opere, perché impossibilitati. Su questo versante assumono particolare importanza le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, ex ras delle Case Nuove, Carmine Campanile (verbali resi in tempi recenti, il 2 ottobre 2018 e il 16 gennaio 2019,e che quindi danno un quadro contemporaneo degli eventi). Alcuni imprenditori, pur di continuare a lavorare, racconta Campanile, avrebbero chiesto e ottenuto degli sconti sulla quota estorsiva da versare al clan. Altri invece, avrebbero preferito «chiudere baracca».
Il collaboratore di giustizia / «Montescuro prese
2 miliardi di lire per far realizzare il parcheggio Brin»
Nell’ordinanza è possibile leggere: «Campanile riferiva di essere a conoscenza di estorsioni perpetrate ai danni delle ditte impegnate nei lavori di rifacimento della Via Marina, raccolte da Carmine Montescuro e poi divise tra i clan che controllano la Via Marina, tra cui i Rinaldi ed i Cardarelli. Il Campanile esprimeva la considerazione che il cantiere di Via Marina non avrebbe mai ripreso le attività, perché le pretese estorsive dei clan avevano ormai strozzato le imprese».
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uscire i container con la cocaina dal porto
Il pentito racconta di un imprenditore di Posillipo che aveva abbandonato (in tempi recenti) il cantiere non riuscendo più a fronteggiare le richieste estorsive. «Invero, l’accordo iniziale con i clan era di una tangente da 300mila euro per tutti i lavori che l’imprenditore aveva appaltato e che aveva pagato, mensilmente, con quote da 15mila euro divise tra i clan tra cui Montescuro, Caldarelli e Rinaldi; ma i clan avevano poi preteso ulteriori tangenti su ogni nuovo lotto di lavori eseguito e questo aveva determinato la perdita di utili per l’imprenditore, che aveva perciò abbandonato il cantiere».
L’episodio / Estorsioni al porto, il boss:
dammi i soldi o mi riprendo la barca
Risultato? Via Marina che avrebbe dovuto essere conclusa molti mesi fa, continua a rappresentare l’«incompiuta» per eccellenza, del capoluogo partenopeo. «L’interesse dei vari clan ad ogni tratta di quel lavoro, ad ogni intervento che sarebbe stato praticato, si sarebbe tradotto in pressioni sugli imprenditori divenute via via insostenibili, come hanno rivelato le intercettazioni dalla cui lettura si coglie che se taluni imprenditori, sarebbero divenuti nel tempo inavvicinabili, perché esasperati, avrebbero minacciato denunzie alle forze di polizia, altri avrebbero cercato di far fronte alle richieste, riducendo, quando possibile, gli importi delle tangenti», spiegano i magistrati. In più occasioni, Nino Argano (considerato il braccio destro di Carmine Montescuro), avrebbe suggerito a zì Menuzz’ di accontentarsi, perché«i tempi erano cambiati».