di Giancarlo Tommasone
L’orrore è una componente naturale della camorra, ma ci sono episodi che fanno da spartiacque tra la nefandezza comune e quella estrema. Da camorristi ci si trasforma allora in sanguinari omicidi, paragonabili nel metodo, solo ai macellai dell’Isis. Il punto di non ritorno, davanti al quale gli occhi si devono chiudere per forza a causa dello spettacolo insopportabile, è rappresentato dai rituali con cui maturano e vengono commessi alcuni delitti. Nel linguaggio della malavita, lo smembramento e il sezionamento di un corpo, come le mutilazioni, hanno a che fare con l’annullamento parossistico del nemico. Avviene anche con lo scempio e la derisione dell’avversario ridotto a pezzi, con cui, addirittura si arriva a giocare la più macabra e indegna delle partitelle di pallone.
Nei giorni scorsi, come riportato da Fabio Postiglione su Il Corriere del Mezzogiorno, i giudici del Tribunale dei Minorenni hanno condannato a 16 anni di reclusione un 17enne. Secondo l’accusa, il 31 gennaio del 2017 ha sgozzato e poi ha fatto scempio dei corpi di due boss del contrabbando, Luigi Ferrara e Luigi Rusciano. Aveva appena compiuto 16 anni il ragazzo macellaio, ma già era un killer del clan Amato-Pagano.

Scrivevamo, però, che la camorra non è nuova a questo tipo di dinamica omicidiaria. Tra i primi delitti dalle atmosfere da Grand Guignol c’è sicuramente quello dello psichiatra e criminologo Aldo Semerari. Le sue perizie erano contese dai malavitosi di tutt’Italia, sarebbero servite ad assicurare l’impunità.

Semerari, vicino agli ambienti dell’estremismo nero, oltre ai clienti della mafia, del clan dei Marsigliesi, della banda della Magliana, dell’universo neofascista e della Nuova famiglia, aveva anche quelli della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. E’ per questo che secondo gli inquirenti, fu ucciso. Il messaggio doveva essere chiaro: il corpo di Semerari fu ritrovato il primo aprile del 1982, a Ottaviano, nella patria di Cutolo, in due pezzi. La testa in una bacinella poggiata sul sedile anteriore di un’auto, il resto del corpo nel bagagliaio della vettura. Il tutto fatto ritrovare a poca distanza dal Palazzo Mediceo, il castello del ‘professore’.

Cutoliano è pure Giacomo Frattini, alias Bambulella. Il 21 gennaio del 1982 il suo corpo viene rinvenuto in via Pier delle Vigne, a Napoli, all’interno di una Fiat 500 familiare. Il cadavere del camorrista era avvolto in un lenzuolo: i killer dopo averlo ucciso gli avevano anche strappato il cuore dal petto, lo avevano decapitato e gli avevano tagliato le mani. Queste parti del corpo così orrendamente mutilate furono trovate in alcuni sacchetti di plastica lasciati all’interno dell’auto.

Secondo le dichiarazioni dei pentiti della Nuova famiglia, l’omicidio di Bambulella (per il quale addirittura era stata proposta la crocifissione) era la vendetta della Nf per la strage del carcere di Poggioreale, eseguita dai killer della Nco, nei momenti concitati seguiti al sisma del 23 novembre 1980. Stando a quanto riferito da alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Luigi Giuliano, suo fratello Guglielmo e Maurizio Prestieri, il cuore dal petto di Frattini sarebbe stato ‘strappato’ da Paolo Di Lauro (allora 29enne) e dall’ex macellaio Aniello La Monica.

Restando in ‘territorio’ di Ciruzzo ‘o milionario, il 21 gennaio del 2005, viene ucciso con un colpo di pistola alla testa Giulio Ruggiero, del clan Di Lauro. Ad agire gli Scissionisti guidati da Cesare Pagano. Lo ammazzano in una villetta di Varcaturo, la testa di Ruggiero, poi, viene staccata dal corpo con un seghetto da falegname. L’orrore non è finito. A rendicontarne i due collaboratori di giustizia Gennaro Notturno e Pasquale Riccio. Quest’ultimo, in particolare, racconta ai magistrati: “Sia Esposito che Cipolletta si vantarono poi di aver giocato a pallone con la testa di Ruggiero. Esposito mi disse che nell’appartamento accanto vi erano altri affiliati e qualcuno di loro vomitò pure guardando quella scena”.

Torniamo di nuovo indietro negli anni. L’episodio avviene nell’ambito dello scontro tra i Giuliano e i Contini. E’ il 3 settembre del 1984. L’orrore, stando a quanto riveleranno poi alcuni collaboratori di giustizia, viene pure registrato, attraverso un apparecchio a nastro. L’occasione è data dall’interrogatorio dei fratelli Antonio e Gennaro Giglio. In un casolare dalle parti di Capodichino, i due vengono ammanettati, interrogati, e infine giustiziati. I killer gli scaricano addosso interi caricatori per fare scempio dei cadaveri.