di Francesco Vitale
Gli interessi illeciti spingono il clan Contini fino ala zona di Piazza Mercato. Qui c’è un pub, che nel corso di appena un anno, cambia tre gestori. La storia emerge dall’ordinanza relativa all’inchiesta contro il cartello che va sotto il nome di Alleanza di Secondigliano. Dalle indagini, si appurerà come dietro tali cessioni reiterate del locale, non ci siano problemi economici o difficoltà dovute alla mancanza di clientela, bensì le pressioni e le intimidazioni di esponenti della cosca del Vasto-Arenaccia nei confronti dei diversi proprietari.
Le intimidazioni:
un pub cambia
tre gestori in 12 mesi
La realtà emersa, grazie alle conversazioni intercettate all’interno dell’auto in uso a Vincenzo Tolomelli, è quella di una somma di 140mila euro di cambiali (da «scontare» mensilmente), che il clan aveva imposto ai titolari dell’attività nella zona di Piazza Mercato.
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di invito a pagare il pizzo
Impossibilitato a pagare, il primo gestore, dopo alcuni mesi dà forfait, e cede il locale a una coppia. Quest’ultima, trovandosi a far fronte allo stesso tipo di problema, dura appena 5 mesi, nemmeno il tempo di organizzarsi dal punto di vista burocratico. In effetti chi rilevava il pub era consapevole che si dovessero scontare i 140mila euro di cambiali.
Il metodo delle cambiali: 140mila euro
di «titoli» da pagare al clan
Quando si sparge la voce che il secondo gestore del locale sta per vendere l’attività, il clan va in fibrillazione, temendo che l’imprenditore (compagno della donna a cui è stato in effetti, intestato il locale), prenda i soldi dall’eventuale nuovo proprietario e scappi lontano da Napoli. Naturalmente per far andare in porto una trattativa del genere, non si sarebbe dovuto minimamente accennare della questione delle cambiali. Per impedire che il «passaggio» si realizzi, si decide di procedere con questo piano. Il primo step è rappresentato dalle intimidazioni all’imprenditore; il secondo dall’avvertire eventuali compratori della esistenza delle cambiali (con la chiara intenzione di farli recedere dall’affare); infine, il terzo, è rappresentato dalla «convocazione» di chi allora gestisce il pub. La seconda parte del piano viene saltata; quando l’imprenditore viene portato al cospetto dei capi della cosca, dice che ha avuto paura delle intimidazioni e perciò ha deciso di lasciare la gestione del pub.
Alla fine si arriva a una sorta di chiarimento che porta a questa soluzione: nessuno più farà pressioni all’imprenditore, questo resterà a gestire il locale e pagherà le cambiali. Ma si arriva a niente, poiché dopo poco tempo, il gestore non versa il dovuto e, quindi si decide di cacciarlo via dal pub.
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A entrare nell’affare è Giovanni Solombrino, che preme per gestire direttamente il locale. «Zio – dice Giovanni Solombrino a Vincenzo Tolomelli –, dobbiamo cacciare a quello da dentro al locale, i soldi ve li do io». In effetti va a finire proprio così, l’attività sarà infine intestata a un parente di Solombrino (che è invece il titolare di fatto). Quest’ultimo resta tranquillo appena quattro mesi, perché poi viene scarcerato Ettore Bosti (siamo nel 2013), che, annotano gli inquirenti, pretende la restituzione del debito attraverso tranche di 1.000 euro. «La vicenda del pub – è scritto nell’ordinanza a firma del gip Roberto D’Auria – come emerge dalle intercettazioni, si era ritorta contro Solombrino che da autore dell’estorsione, per l’imprevista scarcerazione di Bosti, diventa a sua volta vittima delle pretese» dell’organizzazione criminale.